Perché muore Aldo Moro?
di Vincenzo Vinciguerra
Perché muore Aldo Moro? A questa domanda si è risposto sempre in modo univoco: perché voleva portare i comunisti al governo.
In realtà, Aldo Moro era consapevole che i patti di Jalta erano ancora in vigore e che non c’era posto in un governo italiano per gli esponenti del Partito comunista.
Aldo Moro sapeva che non aveva nessuna possibilità di infrangere o aggirare il veto americano sull’ingresso dei comunisti nell’area di governo.
Ne era consapevole lui, ed altrettanto lo era Enrico Berlinguer.
Il 13 ottobre 1973, su “Rinascita”, nell’articolo intitolato “Riflessioni sull’Italia dopo i fatti del Cile”, Enrico Berlinguer scriveva:
“Sarebbe del tutto illusorio pensare che anche se i partiti e le forze di sinistra riuscissero a raggiungere il 51 per cento dei voti e della rappresentanza parlamentare (cosa che segnerebbe di per sé un grande passo avanti nei rapporti di forza tra i partiti in Italia) questo fatto garantirebbe la sopravvivenza e l’opera di un governo che fosse espressione di tale 51 per cento. Ecco perché noi parliamo non di un’alternativa di sinistra, ma di un’alternativa democratica”.
Preso atto che in Italia non ci potrà mai essere un governo di sinistra, con il Partito comunista come forza maggioritaria, Berlinguer ribadisce la proposta di “un compromesso storico tra le forze che raccolgono e rappresentano la maggioranza del popolo italiano”.
Pressato dal timore di un golpe militare che ritiene possibile, il segretario nazionale del Pci propone alla Dc un’alleanza di fatto, non di governo, fra i due maggiori partiti italiani.
La politica del “compromesso storico” non trova il consenso di Mosca che la considera pericolosa e nociva tanto da mettere in atto il tentativo di eliminare fisicamente il suo promotore.
Il 3 ottobre 1973, a Sofia (Bulgaria), un camion militare investe e manda fuori strada l’auto sulla quale viaggiava Enrico Berlinguer che, per un caso fortuito, si ferma contro un palo e non precipita nella scarpata sottostante.
Berlinguer rimane lievemente ferito, mentre muore l’interprete e rimangono gravemente feriti due funzionari del Partito comunista bulgaro che lo accompagnavano all’aeroporto.
Emanuele Macaluso testimonierà che Enrico Berlinguer era fermamente convinto che l’attentato contro di lui era stato organizzato dal Kgb.
Ma cosa temeva Mosca?
Non l’ingresso del Pci in un governo italiano, escluso dallo stesso Berlinguer, che avrebbe rappresentato una palese violazione dei patti di Jalta, ma la volontà di Enrico Berlinguer di non uniformarsi alle direttive sovietiche, di iniziare a fare una politica autonoma da Mosca, che rappresentasse gli interessi del partito e non più quelli della Unione Sovietica.
Un’autonomia che, nel tempo, avrebbe potuto trasformarsi in indipendenza. Un pericolo che Mosca voleva evitare anche a costo di uccidere Enrico Berlinguer.
E Aldo Moro?
Si può affermare con certezza che volesse giungere ad un accordo con il Partito comunista, che volesse una collaborazione in grado di assicurare stabilità politica al Paese sempre sotto la guida della Democrazia cristiana.
Una politica, quella morotea, suscettibile di aprire nel tempo le porte dell’area governativa ai comunisti, ma non subito, non nel 1978 e negli anni immediatamente successivi.
Prova ne sia che nel governo formato da Giulio Andreotti, l’11 marzo 1978, i comunisti non c’erano.
I patti di Jalta non erano stati violati, le direttive americane, ribadite il 12 gennaio 1978 con una dichiarazione del Consiglio di sicurezza nazionale, nemmeno.
Perché, quindi, rapire ed uccidere Aldo Moro?
La ragione la troviamo in un articolo che Aldo Moro aveva scritto, il 12 gennaio 1978, destinato ad essere pubblicato sul quotidiano milanese “Il Giorno” e, poi, ritirato per ragioni di opportunità, nel quale il presidente della Dc rivendicava “libertà di manovra politica” nei confronti degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica:
“A noi tocca decidere, sulla base della nostra conoscenza, in piena autonomia, ma con grande equilibrio e senso di responsabilità”.
Con la richiesta di riacquistare “libertà di manovra politica” e di poter agire in “piena autonomia”, Aldo Moro ha dettato il suo epitaffio.
Aldo Moro era l’uomo più influente della Democrazia cristiana e se questa ricerca di autonomia da Washington, che coincideva con quella che Enrico Berlinguer voleva ottenere da Mosca, era lo scopo della sua politica a medio termine, andava fermato.
Aldo Moro aveva dimenticato la fine di Enrico Mattei. Anche lui cercava di far ottenere all’Italia una autonomia energetica che, però, presupponeva un’autonomia politica dagli Stati Uniti.
Enrico Mattei si era mosso senza chiedere il permesso al plenipotenziario americano in Italia (l’ambasciatore) e al Dipartimento di Stato.
Aveva stabilito rapporti con i Paesi del Terzo mondo e anche con l’Unione Sovietica.
Era un uomo potente in Italia, ma pur sempre un suddito al quale gli Stati Uniti non potevano consentire di disattendere le loro direttive e di mettere in discussione la loro politica in Italia.
Lo hanno fermato sul cielo di Bascapè (Pavia), facendo esplodere l’aereo sul quale viaggiava in compagnia di un giornalista americano, il 27 ottobre 1962.
Aldo Moro aveva dimenticato la morte di Enrico Mattei, aveva anche ritenuto che il tentato omicidio di Enrico Berlinguer a Sofia da parte del Kgb fosse un atto posto in essere da una potenza totalitaria, ma aveva dimenticato che gli Stati Uniti hanno una lunga tradizione di omicidi di politici stranieri in disaccordo con la loro politica.
Si sarebbero create le condizioni per permettere ai comunisti di entrare a far parte di un governo, come richiesto dal capo della stazione Cia di Roma dopo lo “strappo” del Pci con Mosca a seguito dell’invasione sovietica dell’Afghanistan, trovando però l’opposizione dell’ambasciatore americano a Roma e del Dipartimento di Stato.
Episodio che conferma come la politica italiana si faccia a Washington e non a Roma.
Una realtà, questa, che Aldo Moro doveva conoscere bene ma che si era illuso di poter modificare almeno parzialmente.
Non aveva chiesto indipendenza ma solo autonomia dimenticandosi, Aldo Moro, di essere il leader di una Nazione condannata, dopo la sconfitta militare nella Seconda guerra mondiale, a “fare la politica dell’America per l’America”, come aveva detto nel 1947 l’amministratore delegato della Fiat, Vittorio Valletta.
Non ci è permesso di fare una politica dell’Italia per l’Italia, perché siamo ancora oggi, come nel 1978, uno Stato cliente dell’impero americano.
E l’impero quando serve usa metodi radicali.
Dopo la morte di Aldo Moro nessun politico italiano ha osato chiedere autonomia, nessun politico italiano ha cercato di portare i comunisti al governo, nessun politico italiano ha disatteso le direttive americane.
L’esempio era servito, il monito aveva raggiunto il suo scopo.
Le Brigate rosse, con il sequestro e l’omicidio di Aldo Moro, si sono rivelate quello che erano state, forse, fin dall’inizio: uno strumento dell’imperialismo americano.
Esecutori di ordini, rispettosi della regola dell’omertà, come prova il silenzio sempre mantenuto su tutto ciò che ha detto Aldo Moro nel corso della sua prigionia.
Hanno taciuto e sono stati premiati: il loro capo, Mario Moretti, è entrato in carcere fra gli ultimi e ne è uscito fra i primi, come gli altri che hanno partecipato al sequestro di Aldo Moro.
Tutti zitti e tutti liberi.
Come Enrico Mattei anche Aldo Moro si era illuso di poter avere spazio nella politica interna italiana senza mettere in discussione le alleanze e la fedeltà ai patti sottoscritti con la potenza egemone.
Ma la richiesta di autonomia è stata interpretata da Washington come un atto di ribellione da stroncare senza esitazione, togliendo la vita a chi aveva iniziato a comprendere che gli Stati Uniti non ci hanno reso liberi ma sudditi.
Una verità intravista che è costata la vita a Enrico Mattei, prima, e a Aldo Moro, dopo.
Fonte: andreacarancini.it