Monsignor Viganò / Alcune precisazioni per ristabilire la verità sulla situazione del monastero Maria Tempio dello Spirito Santo di Pienza
di monsignor Carlo Maria Viganò
Parte Prima
La sequenza degli eventi
Dopo la divulgazione di notizie contrastanti e contraddittorie relative alle recenti vicende che hanno coinvolto la Comunità claustrale del Monastero benedettino di Pienza, considero mio dovere di Pastore intervenire a ristabilire la verità dei fatti, per come essi sono riscontrabili a chi non sia prevenuto e abbia a cuore tanto il destino delle Religiose, quanto per evidenziare l’atteggiamento di aperta ostilità nei loro riguardi da parte dell’Autorità ecclesiastica. Questo mio primo contributo viene dalla conoscenza diretta e personale della Badessa e delle Monache, a nome delle quali intendo parlare. In questa prima parte analizzerò la sequenza degli eventi; in una seconda, il contenuto dei provvedimenti della Santa Sede e il loro inquadramento nel contesto più vasto dell’azione demolitrice di Bergoglio; in una terza, le iniziative da intraprendere.
Le origini
Anzitutto occorre partire dalla nascita del Monastero. Dodici delle tredici Religiose che lo compongono provengono dalla comunità benedettina “Santa Maria delle Rose” di Sant’Angelo in Pontano, appartenente alla Federazione Picena. Questo Monastero marchigiano conobbe un momento di rinascita quando iniziò ad accogliere vocazioni femminili provenienti dal cosiddetto “Cammino Neocatecumenale” di Kiko Argüello. Fu infatti dal Cammino che le nostre giovani entrarono in religione, per poi essere inviate nel 2013 dagli stessi responsabili del Cammino a costituire una nuova fondazione benedettina in Olanda, nella diocesi di Haarlem-Amsterdam, con l’accordo del Vescovo mons. Josef Marianus Punt. Il nuovo Monastero è approvato dalla Santa Sede l’anno successivo.
Come già avveniva a Santa Maria delle Rose e praticamente in tutte le comunità sotto il controllo di Kiko, anche in Olanda l’autonomia di governo del Monastero fu messa a dura prova dalle gravi e indebite ingerenze dei dirigenti del Cammino. Questa gerarchia neocatecumenale parallela, costituita da Argüello e dai suoi “catechisti”, portò le Religiose alla decisione – assunta collegialmente in Capitolo – di prendere le distanze dal Cammino.
Dopo quattro anni, mons. Punt viene costretto ad allontanare le Monache su pressione di Kiko, che minaccia di ritirare dalla Diocesi i suoi sacerdoti neocatecumenali, che di fatto erano gli unici sui quali il Vescovo poteva contare, costituendo una parte considerevole del suo Presbiterio. Questo dà la misura della capacità di interferenza nella vita e nel governo della Chiesa da parte di un’associazione laicale che ha pianificato capillarmente la propria infiltrazione nel corpo ecclesiale facendo in modo di rendersi indispensabile, e una volta accolti nelle Diocesi poterne imporre la linea pastorale. A questo punto le Religiose vorrebbero rientrare in Italia, nel Monastero di Pontano, ma il terremoto del 2016 lo ha gravemente lesionato rendendo impossibile il ritorno.
Ovviamente questa decisione delle Monache, costituendo un’ennesima prova dell’azione manipolatoria dei dirigenti del movimento, ha creato il vuoto intorno alle nostre Benedettine, abbandonate a loro stesse e private di ogni sostentamento ed appoggio da parte dei dirigenti del Cammino. Le Monache cercano ospitalità in Italia ma i Vescovi diocesani e i Monasteri interpellati, venuti a conoscenza dell’origine della comunità dalle fila del movimento neocatecumenale, oppongono un diffidente rifiuto. A causa dei problemi provocati nelle Diocesi e nelle parrocchie dal Cammino, i neocatecumenali non godono più dell’entusiastica accoglienza del passato e questa diffidenza si ripercuote anche sulle Monache, che vengono respinte proprio a causa della loro provenienza.
L’arrivo in Italia
Ecco dunque inquadrata la situazione delle Monache, che giungono in Italia con il marchio d’infamia di essere sfuggite alle manipolazioni e all’indottrinamento ereticale del potente guru spagnolo. La loro impostazione modernista, tuttavia, consente alle Religiose di trovare accoglienza a Pienza, dove, nell’agosto 2017 il Vescovo mons. Stefano Manetti le accoglie, in considerazione del fatto che da anni la Diocesi aveva assistito all’inesorabile estinzione della vita religiosa contemplativa. Ben felice di poter avere quindi un Monastero benedettino femminile, mons. Manetti assegna loro, provvisoriamente, gli spazi del Seminario estivo non più in funzione, facendosi carico del pagamento delle utenze e promettendo alle Religiose che avrebbe trovato una struttura idonea a divenire la loro sede definitiva, necessaria per l’erezione canonica di un Monastero sui juris, ossia direttamente dipendente dalla Santa Sede.
Le promesse di mons. Manetti di trovare una struttura idonea non vengono mantenute, ma il Vescovo ottiene comunque dalla Santa Sede, nel Febbraio 2019, l’erezione del Monastero sui juris, compiendo quella che appare come una vera e propria forzatura del Diritto Canonico, che prevede, quale condizione per l’erezione di un Monastero sui juris, la proprietà dell’immobile in cui esso ha sede. Mons. Manetti, a tal proposito, dichiara alle suore di farsene lui stesso garante.
Tutto ciò avviene con l’approvazione del Capitolo del Monastero di provenienza delle Monache. L’iter si conclude nel 2019 con l’elezione della Badessa, Suor Maria Diletta dello Spirito Santo, la quale riceve la Benedizione abbaziale da parte di mons. Manetti.
Dopo pochi mesi, mons. Manetti propone loro un contratto di comodato di nove anni, revocabile senza motivazioni, e alla condizione che le Religiose provvedano alle spese ordinarie e straordinarie, oltre che ad accollarsi i costi dei lavori di ristrutturazione e messa a norma dell’immobile. Le Religiose sono dunque messe dinanzi ad una proposta irricevibile, sia perché prive di mezzi economici, sia perché di fatto non tutelate per il futuro. È evidente che il comportamento contraddittorio e ondivago di mons. Manetti serviva per costringere le Monache ad andarsene, senza espellerle ufficialmente. Quale sia il motivo per cui la Curia era così interessata a riappropriarsi del Seminario estivo sarà ben presto chiaro.
A questo punto è opportuno ricordare che un Monastero benedettino sui juris, dipendendo esclusivamente dalla Santa Sede, non è tenuto a unirsi ad una “Federazione”, ossia a un gruppo di Monasteri che condividano una determinata impostazione spirituale e di governo.
La Costituzione Apostolica Vultum Dei Quærere, promulgata da Bergoglio il 29 Giugno 2016, è intervenuta a modificare la prassi stabilita dal Venerabile Pio XII con la Costituzione Apostolica Sponsa Christi Ecclesia del 1950. Da qui nasce l’Istruzione Cor Orans del 15 Maggio 2018, che costituisce l’applicazione delle nuove disposizioni in materia di soppressione e federazione dei Monasteri. Inutile dire che questi due documenti hanno come scopo la demolizione della vita contemplativa e la progressiva rieducazione – appunto tramite le Federazioni – delle religiose. Con la scusa della inesorabile decimazione delle vocazioni, Cor Orans permette di accorpare le religiose di più Monasteri, facendo sì che i loro beni – spesso costituiti da prestigiosi immobili storici ubicati in luoghi magnifici – siano incamerati dalla Santa Sede. Le Monache si trovano così strappate alla loro famiglia spirituale e mandate in nuove comunità, con l’obbligo di seguire “corsi di aggiornamento”, ossia di indottrinamento e “riprogrammazione”, fuori dalla Clausura. Le comunità più tradizionali sono ovviamente le più perseguitate.
Questa precisazione è necessaria per comprendere come, una volta giunte in Italia e costituite in un Monastero con una propria Badessa, le Monache di Pienza abbiano dimostrato estrema “flessibilità” rendendosi disponibili – pur non avendone l’obbligo, essendo costituite in un Monastero sui iuris – a prendere contatto con le Federazioni esistenti, per valutare quale di esse fosse maggiormente confacente al proprio carisma. L’avvento della pandemia ha interrotto questo processo, specialmente dopo i lockdown. Ma l’opera di devastazione di Cor Orans prosegue inesorabile, come dimostrano le indebite pressioni della Santa Sede sul Monastero di Pienza, che come detto non è minimamente obbligato a federarsi, essendo sui juris.
Il problema, in realtà, è stato creato quando mons. Manetti ha scelto questa forma canonica, senza però garantire la proprietà dell’immobile che è condizione per un Monastero sui juris. Il trasferimento di Manetti e la nomina del Card. Lojudice – amico del Vicario generale ed ex-Rettore del Seminario – devono aver indotto il Vescovo a cercare di sistemare una situazione di irregolarità prima dell’arrivo del successore. Nel Decreto di erezione Manetti aveva dichiarato: «A norma della legislazione canonica vigente, erigo nella diocesi di Montepulciano-Chiusi-Pienza il Monastero di Monache Benedettine […] in Pienza con tutti i privilegi e le grazie spirituali che godono legittimamente gli altri Monasteri del suddetto Ordine, avendo provveduto a tutte le richieste delle leggi universali della Chiesa, specialmente per quanto riguarda la clausura, il sostentamento delle monache e la loro assistenza spirituale». Ma sappiamo che così non è stato: la proprietà del Monastero è rimasta alla diocesi, e il sostentamento delle Monache da parte della diocesi si limitava al pagamento delle utenze. Per questo il Vescovo non può ufficializzare il loro allontanamento e si limita a esercitare verbalmente pressioni sulle religiose affinché se ne vadano.
La scoperta del rito antico
Nel 2020, grazie ad un sacerdote amico del Monastero e ad alcuni incontri provvidenziali con figure legate al mondo della Tradizione, le Religiose “scoprono” la Liturgia tridentina e mons. Manetti applica in loro favore il Motu Proprio Summorum Pontificum, ritenendo che la celebrazione saltuaria della Messa in rito antico possa aiutare la Comunità a liberarsi definitivamente della sua formazione neocatecumenale. L’anno successivo egli prende contatto con i Monaci benedettini di Norcia, perché aiutino le Monache in questo percorso. Con la promulgazione di Traditionis Custodes il Vescovo incarica alcuni sacerdoti di Roma di assicurare la celebrazione domenicale della Messa in rito tridentino, a patto che non diventasse la loro unica forma liturgica.
Nel frattempo le Religiose continuano a cercare in tutta Italia un Monastero dove potersi traferire, senza successo. Le strutture non più abitate hanno dei costi troppo elevati, oppure necessitano di grandi interventi di restauro che un piccolo gruppo di Monache non può nemmeno lontanamente affrontare. D’altra parte, le Comunità benedettine con poche Monache considerano problematico accogliere tredici consorelle, che rappresentano una sorta di rivoluzione per la loro vita tranquilla e regolare. Le Monache chiedono quindi al Vescovo di lasciarle dove sono, offrendosi di pensare loro al pagamento delle utenze, sino ad allora solo in parte pagate dalla Diocesi dato che riceveva dalle Monache un cospicuo rimborso.
L’arrivo del nuovo Vescovo
Ad aprile 2022 giunge la notizia del trasferimento di mons. Manetti, destinato alla Cattedra episcopale di Fiesole. Questa decisione della Santa Sede porta il Vescovo – forse per sanare una situazione di grave irregolarità canonica prima dell’arrivo del Successore – a revocare verbalmente il permesso riconosciuto alle Monache di potersi avvalere della Messa tridentina. A partire da questo momento, mons. Manetti non provvedere nemmeno alle loro assistenza spirituale, privandole della Santa Messa – compresa quella in “forma ordinaria” – anche nei giorni di precetto. Non basta: dinanzi alle Religiose dichiara di non aver mai avuto intenzione di cacciarle, ma preannuncia che don Antonio Canestri – ancora Rettore del Seminario benché dismesso e convertito in Monastero, e amico di vecchia data del nuovo Vescovo, il Card. Lojudice – ha tutte le intenzioni di togliersele di torno. Il quale don Antonio si presenta al Monastero, con prepotenza e toni intimidatori, arrivando a violare la Clausura penetrando nelle celle delle Monache e rivendicando la proprietà dell’immobile. L’intenzione di don Canestri di lucrarne è palese.
Ecco dunque spiegata, con ogni evidenza, la pretestuosità delle azioni disciplinari nei riguardi delle Monache, finalizzate banalmente ad un’operazione finanziaria, sulla falsariga del Monastero di Ravello sulla Costiera amalfitana. D’altra parte, una struttura collocata su un poggio che sovrasta l’incantevole Val d’Orcia rappresenta una succulenta opportunità di profitto per le casse della Diocesi e della Santa Sede.
Sia ben chiaro: la questione economica e immobiliare è l’elemento che spinge molti ecclesiastici a dare esecuzione a Cor Orans al solo scopo di far cassa o di ingraziarsi la corte bergogliana. Ma lo scopo vero e più profondo, quello che anima l’intera azione di questo “pontificato”, è di matrice ideologica: normalizzare la vita religiosa al nuovo paradigma pauperista, migrazionista, ambientalista, ecumenico, e sinodale imposto dalla junta dell’Argentino. Non diversamente si sta comportando nei confronti dei fedeli e delle Comunità tradizionali, che con Traditionis Custodes si sono visti cancellati o drasticamente ridotti i diritti che il Motu Proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI aveva loro riconosciuto nel 2007. In sostanza, è come se un governo incentivasse le aziende a investire in determinati settori, e appena queste iniziano a farlo le obbligasse al fallimento cancellando o tagliando gli incentivi. Inutile dire che un’operazione del genere, oltre che vile e moralmente riprovevole, non è frutto di imperizia o di incapacità, ma di una mirata volontà di creare il maggior danno possibile. Se poi uniamo Cor Orans e Traditionis Custodes, il destino è inesorabilmente segnato.
L’avversione del Card. Lojudice verso le scomode Suore non tarda a manifestarsi. Durante la presa di possesso della Cattedra di Pienza il nuovo Vescovo si rifiuta di comunicarle in ginocchio, le umilia dinanzi all’intera città facendole alzare e prendere la Comunione in mano, e in sacristia le redarguisce dicendo loro che nel loro Monastero avrebbero potuto fare come volevano, ma che in pubblico dovevano uniformarsi alla prassi comune (peraltro in violazione delle norme liturgiche, che consentono al fedele di inginocchiarsi e ricevere l’Ostia Santa in bocca).
I fatti che precedono la Visita Apostolica
A settembre 2022 Sua Eminenza comunica alle Monache di voler venire a trovarle, guarda caso proprio in concomitanza con la loro assenza dal Monastero. Il Segretario, informato dell’assenza delle Religiose recatesi altrove per un Ritiro spirituale, risponde che la loro presenza non sarebbe stata necessaria, dal momento che la visita del Cardinale era finalizzata principalmente alla stima immobiliare dello stabile. Credo sia evidente l’ordine di priorità che anima l’azione “pastorale” dei Vescovi bergogliani: prima gli affari, poi la propaganda e le foto in posa con i rom e gli immigrati (cosa che da sola sarà bastata per mandare in sollucchero Bergoglio), e se resta tempo l’attenzione per l’unica comunità contemplativa della Diocesi. Non diversamente agisce il Dicastero per i Religiosi, impegnato in lucrose operazioni speculative con la vendita di immobili, per rendere disponibili i quali non esita a falciare le poche comunità superstiti alla crisi di vocazioni postconciliare.
Le Monache di Pienza riescono a posticipare la visita del Card. Lojudice all’8 novembre. Ma il giorno 11 ottobre si presenta senza preavviso alla porta del Monastero Madre Roberta (che si scoprirà poi essere la Visitatrice) assieme all’Abate di Pontida e ad una terza persona. Queste persone non trovano nessuno, dal momento che le Monache sono tutte in ritiro in un’altra regione, e anche questa incursione va a vuoto. Ma il 1° Novembre torna all’attacco l’Abate di Pontida, il quale annuncia una Visita Apostolica alla Abbadessa e si accerta della presenza delle Religiose per il successivo 3 Novembre.
La Badessa chiama allora il Card. Lojudice per sapere se fosse al corrente della Visita Apostolica. Sua Eminenza nega di saperne nulla, ma poi si contraddice ammettendo di aver accompagnato, il precedente 11 Ottobre, i visitatori che si erano presentati al Monastero senza annunciarsi. In quella circostanza il Vescovo fa notare di aver saputo che le Monache hanno la Messa in rito antico e che non erano ancora entrate in alcuna Federazione.
Due elementi da tenere a mente. Il primo: la conversione “tradizionale” delle Monache. Il secondo: la loro mancata adesione a una Federazione benedettina. Come già detto sopra, le Federazioni, dopo l’Istruzione Cor Orans di Bergoglio, sono usate come istituti di rieducazione e di indottrinamento al nuovo corso. Il fatto che il Monastero di Pienza sia sui juris, e quindi non tenuto a federarsi, scatena le furie del Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata, a capo del quale è il Card. Braz de Aviz, quello che, per intenderci, in occasione di un incontro con le monache claustrate per presentare loro le meraviglie di Cor Orans disse loro: «Trattate la vostra vita da adulte, e non adultere!» (qui). Il Cardinale brasiliano è assistito dal Segretario mons. José Rodriguez Carballo, nientemeno che il principale responsabile del tracollo finanziario dell’Ordine dei Frati Minori Francescani – nelle cui vicende risulta la morte “misteriosa” di due personaggi – di cui Carballo era stato Ministro Generale prima di esser promosso da Bergoglio come Segretario dell’intera costellazione degli Ordini e delle Congregazioni religiose della Chiesa Cattolica. D’altra parte, quale incarico migliore per una persona dimostratasi corrotta e incapace di gestire l’amministrazione del proprio Ordine? E in cosa aveva investito l’Ordine dei Frati Minori, se non in droga e armi? (qui) Non dimentichiamo che Carballo è coinvolto tanto in questo scandalo quanto nella persecuzione, tra gli altri, dei Francescani dell’Immacolata, non solo per via della loro posizione conservatrice, ma anche per il cospicuo patrimonio immobiliare di cui la Santa Sede non è riuscita ad appropriarsi solo perché esso era intestato ad un’associazione civile. Proprio in questi giorni si è appreso che Bergoglio ha deciso di espropriare – letteralmente – i beni degli Enti ecclesiastici, dichiarandoli «di proprietà della Santa Sede nel suo complesso e appartenenti quindi al suo patrimonio unitario, non frazionabile e sovrano» (qui). Come si vede, la sorte delle Monache ha anticipato di poco il destino di tutte le Comunità. Il che significa, in parole povere, che d’ora in poi – essendo ora il papa il legale proprietario di tutti i beni della Chiesa – egli può disporne autonomamente, non solo per venderli e far cassa, ma ancor prima per avere una leva giuridica con cui ricattare Conventi, Monasteri, Diocesi, Seminari, e altri istituti, che in precedenza rimanevano comunque autonomi e liberi di compiere le proprie scelte senza timore di subire estorsioni.
La prassi della Chiesa ha sempre tutelato la proprietà dei beni degli enti ecclesiastici, proprio per garantire con essa quella necessaria indipendenza di mezzi che è premessa di una libera e consapevole scelta di fedeltà alla Sede Apostolica. Il recente Motu proprio di Bergoglio – che pare scritto da Klaus Schwab – capovolge questa situazione, mettendo sotto ricatto Ordini religiosi e Diocesi, con quelle modalità di cessione di sovranità che nelle questioni temporali contraddistinguono il colpo di stato dell’Unione Europea, dell’OMS e del World Economic Forum nei confronti degli Stati. Non so se i miei Confratelli nell’Episcopato e i Superiori delle Congregazioni religiose si rendano conto di cosa questa decisione di Bergoglio rappresenti per loro e per la loro indipendenza, di fatto esautorati e ridotti a meri funzionari in balia dei diktat del Vaticano.
La Visita Apostolica
Il 2 novembre 2022, con un giorno di anticipo rispetto alla data dell’incontro prefissato, la Badessa di Pienza scopre che l’Abate di Pontida sarebbe arrivato di lì a poco, quindi a sorpresa e con chiare intenzioni intimidatorie. Qualsiasi ecclesiastico sa che una Visita Apostolica è un evento delicato da gestire con grande Carità e cercando di renderlo il meno traumatico possibile, trattandosi pur sempre di un’ispezione dei Superiori, implicitamente motivata da gravi motivi. Per questo è da giudicare a dir poco imprudente calcare la mano, con una Comunità di giovani claustrali già provate dalle vicissitudini sin qui esposte, addirittura presentandosi un giorno prima, quasi a voler “cogliere di sorpresa” le Monache.
I due visitatori, secondo metodi ben collaudati, agiscono con spregiudicatezza, avvalendosi della doppiezza e della menzogna. Gli interrogatori delle Religiose sono vere e proprie sedute di tortura: tentano con ogni espediente di logorare psicologicamente le Suore, di fomentare divisioni e di approfittarne per distruggere il tessuto della Comunità oltre che l’equilibrio psicofisico e la serenità delle Monache.
Arrivano quindi al Monastero l’Abate di Pontida, dom Giordano Rota, che è anche – guarda caso – consultore del Dicastero vaticano per i Religiosi, e quindi alle dipendenze di Braz de Aviz e Carballo, notoriamente corrotti e ultraprogressisti. Quindi abbiamo: il Visitatore scelto da Roma, progressista; la Visitatrice, progressista; il Vescovo, Card. Lojudice, progressista. Tutti e tre, ça va sans dire, rigorosamente filobergogliani e allineati al nuovo corso. Lo stesso vale per le suore che li accompagneranno nell’azione inquisitoriale contro le povere Monache.
I Visitatori interrogano tutte le religiose, tenendole sotto torchio fino a un’ora e mezza. Le domande parlano da sole: Che cosa faresti se fossi Badessa? Cosa cambieresti della Comunità e della Badessa? Come vedi il futuro della Comunità? Perché avete l’Altare rivolto verso il muro? Cosa c’è dietro la recita del Pater Noster in latino? Cosa sono quelle cosacce sull’altare (riferito alle reliquie)? Sai quanti soldi avete? Non vi siete chieste perché nessuna Federazione o nessun monastero vi hanno voluto? Come è avvenuta la scelta di chi sarebbe andato in Olanda? Non vedete che lo stabile non è adatto per la Clausura? Domande intimidatorie, in cui si comprende non solo la prevenzione dei Visitatori, ma anche la loro avversione al carisma tradizionale e il loro scopo ultimo: avere un pretesto per chiudere il Monastero e riappropriarsi dell’immobile, cosa che come abbiamo visto era già da tempo nelle mire del Vicario generale e dello stesso Card. Lojudice.
La Visita Apostolica – in cui di “apostolico” non c’è nulla – si conclude il 5 Novembre, tra l’altro cogliendo in flagrante i Visitatori mentre scattano di nascosto foto all’altare della Cappella – nientemeno che rivolto verso il tabernacolo e la croce – e ai prodotti delle Monache offerti nell’atrio come si fa in tante casa religiose. Ovviamente, per tenere sotto pressione le povere Religiose, i Visitatori si rifiutano sia di specificare per quale motivo essi siano stati inviati dal Dicastero – visto che non vi era alcun fatto grave che ne giustificasse la presenza – sia la loro valutazione finale. Cose, entrambe, che i Visitatori avrebbero dovuto dire, non fosse che in nome della tanto decantata parrhesia bergogliana.
Nuove intimidazioni e incursioni
Conclusasi questa ispezione, la visita del Cardinale prevista per l’8 Novembre viene rinviata. Il 15 Novembre Sua Eminenza si presenta con il Vicario generale, don Antonio Canestri. Appena entrato si informa se sono le Monache a preparare le marmellate messe in vendita, dicendo che il Sindaco di Pienza aveva ricevuto voci secondo cui esse compravano quelle marmellate al supermercato per poi rivenderle con l’etichetta del Monastero. Alla risposta sdegnata delle Religiose, offese per questa gratuita e ingiustificata insinuazione, il Cardinale si è visto scoperto e le ha accusate di essere poco collaborative e ostili. A questo punto le Monache gli hanno chiesto se gli servisse lo stabile, e si sono sentite rispondere: «A me personalmente, no».
Andrebbe evidenziato che questa insistenza sui prodotti delle Monache non ha nulla a che vedere con la Visita Apostolica, e che appare come un argomento pretestuoso in assenza di valide ragioni canoniche. Inoltre, l’aver fatto ricorso a questioni materiali coinvolgendo il Sindaco doveva esasperare la situazione allargandola alla sfera civile che sino ad allora non aveva alcun titolo per intervenire. In ogni caso, le Religiose non hanno commesso alcuna irregolarità offrendo marmellate, rosari, candele ed altri prodotti da loro confezionati per poter ricevere la liberalità dei pochi benefattori ed amici, necessaria alla loro sussistenza.
A mezzogiorno del 13 febbraio, don Raffaele Mennitti, Vicario per la Vita consacrata della Diocesi di Montepulciano-Chiusi-Pienza e don Paolo, segretario personale del Cardinale Lojudice si presentano al Monastero e consegnano una lettera in busta chiusa per ogni religiosa, affermando di non conoscerne il contenuto. Nel mio successivo intervento prenderò in esame il contenuto di queste missive inviate dalla Santa Sede al Monastero.
Nel pomeriggio, alle ore 16, i due sacerdoti tornano assieme alla Presidente della Federazione Picena, Madre Vacca, e la Vicaria della Federazione, Madre Di Marzio, le quali pretendono di entrare affinché Madre Vacca possa parlare con ogni Monaca. A questo punto la Badessa, Madre Diletta, e tutte le Consorelle escono e dichiarano di non acconsentire alla loro irruzione intimidatoria e non annunciata. Madre Diletta, intimata da don Raffaele ad «obbedire alla Chiesa» risponde che dovevano vergognarsi per abusare del loro potere in questo modo e che le Monache non erano tenute ad obbedire a ordini iniqui. Non paghi dell’improvvisata, i messi della Curia e del Dicastero trattengono alcuni parenti delle religiose, cercando di spaventarli e di indurli a convincere le Monache a sottomettersi. Don Raffaele ha addirittura preso per il braccio Madre Diletta strattonandola perché lo ascoltasse e sostenendo che i loro timori erano immotivati.
Il giorno dopo Madre Diletta si trova il bancomat disattivato e scopre dalla banca che la sua delega a operare sul conto del Monastero è stata revocata e sostituita con una nuova intestata a Madre Vacca. Il conto con le misere sostanze delle Monache – seimila euro – è quindi di fatto sequestrato d’autorità, sottraendo alle Religiose gli stessi mezzi di sussistenza. E meno male che le sollecitudini dei Visitatori erano di natura spirituale… Probabilmente informato dei fatti, mons. Manetti chiama Madre Diletta per fare pressioni su di lei e sondare il terreno per capire se la visita dell’indomani del Card. Lojudice avrebbe avuto qualche speranza.
Il 16 febbraio Madre Vacca invia a Madre Diletta su WhatsApp una lettera in cui la diffida di lasciarle prendere possesso del Monastero, come ordinato nella comunicazione del Dicastero, che nel frattempo è stata impugnata dalle Religiose e quindi da considerarsi sospesa nei suoi effetti. Madre Vacca minaccia gravi conseguenze canoniche e civili in caso di disobbedienza.
Il ricorso al “braccio secolare”
La mattina del 17 febbraio si presentano al Monastero don Raffaele, Vicario per la vita consacrata della Diocesi di Montepulciano-Chiusi-Pienza, don Paolo, segretario personale del Cardinale Lojudice, la Presidente della Federazione Picena, Madre Vacca, la Vicaria della Federazione, Madre Di Marzio, il Maresciallo dei Carabinieri di Pienza Paolo Arcangioli e altri due militari dell’arma. La prontezza delle Monache ha fatto sì che abbiano anche videoregistrato questa surreale incursione, addirittura con l’aiuto del “braccio secolare”. L’avvocato delle Religiose ha giustamente notato, tra l’altro, che il ricorso ai Carabinieri costituisce una violazione delle norme concordatarie ed è inaudito che per una questione che la Curia insiste a definire frutto di un fraintendimento non si sia esitato a terrorizzare le Monache con la presenza di Carabinieri.
Il 19 febbraio la Diocesi pubblica il famigerato comunicato, che viene ripreso e rilanciato su Toscana Oggi (qui) e su La Nazione (qui). Questo comunicato, pieno di imprecisioni e omissioni, si conclude con un invito a non sostenere economicamente il Monastero. Aqua et igni interdictæ, ossia private – come si faceva nell’antica Roma – di qualunque sostegno e aiuto da parte degli altri cittadini, come conseguenza della revoca della cittadinanza. Questa è la “chiesa della misericordia” di Bergoglio.
Non basta: pochi giorni dopo i Carabinieri di Pienza chiamano i parenti delle Monache per avvisarli che sarebbero stati convocati per raccogliere dichiarazioni circa il Monastero, senza formalizzare alcuna notifica. Non voglio immaginare chi abbia dato l’ordine, né come i Carabinieri possano essersi prestati a questa grottesca sceneggiata inquisitoria, giungendo a chiedere di non riferire a nessuno della telefonata, proprio con lo scopo di spaventare ulteriormente le Monache assediate.
Dal sito dell’agenzia Ansa (qui) si apprende poi di una diffida formale alle Monache presentata dalla diocesi di Montepulciano-Chiusi-Pienza, a firma dell’avvocato Alessandro Pasquazi. Viene da chiedersi a che titolo questa comunicazione dovrebbe essere stata inviata a un’agenzia di stampa quando nessuna notifica della medesima è stata presentata alle Monache.
Questo è l’ultimo atto, almeno per ora, di una pièce a metà tra la farsa grottesca e la tragedia, i cui attori si dividono in vittime e carnefici.
Le vittime sono le tredici Monache. Vittime per il loro pregresso travagliato, in cui hanno potuto crescere spiritualmente e sottrarsi alle pressioni e alle ossessive ingerenze dell’establishment del Cammino Neocatecumenale, approdando a Pienza; vittime del pasticcio burocratico di mons. Manetti, che le ha erette come Monastero sui juris pur non avendo la proprietà dell’immobile; vittime delle brame di ecclesiastici senza scrupoli, “colpevoli” di essere una scomoda presenza che impedisce lo sfruttamento economico della struttura che le ospita; vittime della furia ideologica dei bergogliani, a causa del loro avvicinamento alla Tradizione e della loro volontà di non piegarsi all’indottrinamento modernista rinnegando la fedeltà a Nostro Signore e al proprio carisma.
I fatti che ho esposto possono essere verificati, sono corroborati da prove incontestabili e confermati da numerose testimonianze. La loro concatenazione mostra la premeditazione dell’attacco alle Monache e lascia intuire quali fossero gli scopi reali di coloro che le attaccano, e quali le scuse pretestuose con cui cercano di distogliere l’attenzione dall’elemento principale di questa vicenda: l’assenza di vere e giustificate motivazioni per procedere contro di loro. Inventarsi nuove e infondate accuse in itinere non potrà nascondere il fatto che la Visita Apostolica sia l’ennesimo tentativo – ammantato di un apparente rispetto delle norme canoniche – di colpire comunità di Vita contemplativa – a maggior ragione se di indirizzo tradizionale.
Nella seconda parte vedremo come questi provvedimenti vaticani siano del tutto illegittimi e privi valore ai sensi del Diritto Canonico.
+ Carlo Maria Viganò, Arcivescovo
26 febbraio 2023
Dominica I in Quadragesima
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Cari amici di Duc in altum, su Cor orans e Vultum Dei qaerere ricordo il mio libro Claustrofobia. La vita contemplativa e le sue (d)istruzioni (Chorabooks).
La vita di preghiera, nella contemplazione del mistero divino e per la riparazione dei peccati del mondo, è un tesoro grande, conservato in monasteri dalla vita millenaria, ma ora questo tesoro è in pericolo, e non per un attacco dall’esterno, ma per iniziativa della stessa gerarchia cattolica. L’attacco arriva dalla costituzione apostolica Vultum Dei quaerere e dall’istruzione applicativa Cor orans, un apparato normativo che minaccia l’autonomia dei monasteri, indebolisce la loro indipendenza e, con la scusa dell’aggiornamento e della formazione, mette in discussione l’idea stessa di isolamento e di vita di clausura. Ma perché questa “claustrofobia” da parte della Chiesa? Perché mortificare la scelta di chi consacra la propria vita alla preghiera nel nascondimento? Dietro s’intravvede un’idea di spiritualità tutta orizzontale, tutta giocata nel sociale, incapace di scorgere la bellezza e la grandezza di una relazione esclusiva con Dio. Una situazione grave che in Claustrofobia. La vita contemplativa e le sue (d)istruzioni descrivo nel dettaglio mettendone in luce i contenuti più letali per la fede e la Chiesa stessa.
Aldo Maria Valli, Claustrofobia. La vita contemplativa e le sue (d)istruzioni, Chorabooks, 2019