Dove tutto sarà sorrisitudine

Oltre a due nipotini un po’ più grandicelli, ne ho una di nemmeno cinque mesi. E quando la guardo non posso fare a meno di provare uno stupore grandissimo. Dico: poco tempo fa eri nella pancia della tua mamma, che poi sarebbe mia figlia, ed ora eccoti qua, in una dimensione completamente diversa. Stavi all’interno di un sacchetto, nuotavi in un liquido e ti nutrivi attraverso un cordoncino collegato alla mamma (come un astronauta collegato all’astronave durante una passeggiata spaziale): ed ora eccoti qua, fuori dal sacchetto, libera di muoverti e di respirare e in grado di nutrirti con il latte materno. Non è incredibile? Eppure la tua immagine di adesso non è poi così diversa da quella che abbiamo visto nelle ultime ecografie: sei certamente la stessa persona, non ti hanno sostituita!
Il mio stupore è tale che ogni tanto, quando nessuno ci vede, sussurro alla nipotina una domanda: «Ehi tu, dimmi un po’: come facevi? Mi spieghi il segreto? In fondo la tua esperienza di quell’altro mondo è recente, non puoi esserti già dimenticata tutto: fammi un favore, raccontami com’era. Così magari potrò intuire qualcosa circa quell’altro mondo che mi aspetta».
In cambio ricevo una raffica di «nghé» che probabilmente vogliono dire: «Nonno, si proprio sciocchino. Lasciami in pace. Piuttosto, passami il ciuccio».
Ma tornerò alla carica. Anche perché la bimbetta mi gratifica sempre con un sorriso che è un capolavoro assoluto di sorrisitudine (neologismo inventato adesso): imperdibile!
Comunque. In questi giorni ho messo un po’ d’ordine nella biblioteca (come salire su una macchina del tempo in direzione del passato) e così mi sono capitati fra le mani un sacco di libri dei quali avevo perso le tracce. Tra questi, Note di catechismo per ignoranti colti, di Pierre Riches (in un’edizione del 1987, con le pagine ingiallite e il prezzo in lire), nel quale, a pagina 96 (capitoletto dedicato alla vita eterna), ho trovato un pensiero che mi ha aiutato a capire meglio il perché delle mie interviste impossibili alla nipotina.
Ecco che cosa scrive Riches: «Mi si chiede spesso – lo chiede spesso la famiglia quando qualcuno muore – “Com’è la vita eterna? Dove si va? I morti ci vedono?”. Io rispondo sempre con questo esempio, ascoltato per la prima volta da un prete ortodosso a Parigi. Supponiamo che la persona che interroga si chiami Giovanna e abbia ventotto anni esatti. Si dice a Giovanna: “Ventotto anni e tre mesi fa eri nel buio completo, immersa in un liquido, mangiavi attraverso il cordone ombelicale, sentivi rumori attutiti, eri così legata a una persona che si può davvero dire che ne facevi parte. Ebbene, se – per assurdo – qualcuno avesse potuto entrare in contatto con te e dirti: “Giovanna, fra pochi mesi sarai nella luce, ti nutrirai dalla bocca, respirerai l’aria, e fra pochi anni andrai in giro guidando l’automobile, mangerai il cioccolato, andrai al cinema”, ti pare che avresti potuto capire alcunché? No. Proprio perché la nostra vita è totalmente incomprensibile per un feto (Quidquid recipitur…). E così è per la vita eterna. Sappiamo che perdiamo il corpo come lo conosciamo, come abbiamo già perso il sacco amniotico, il liquido amniotico e – terrore – anche il cordone ombelicale. Eppure, eccoci qui. Come sarà l’altra vita? Non lo so. Colui che io credo essere il solo uomo risorto me ne dà forse qualche indicazione. Per cominciare, credo nella resurrezione del corpo (e non solo dell’anima) – e lui morto, mangiava pesci, si vedeva e si udiva (v. il meraviglioso Luca 24,13-33, e anche i dubbi di Tommaso, in Giovanni 20,24-29), eppure passava attraverso porte chiuse, e spariva a volontà – come se, finalmente, divenissimo pienamente padroni dei nostri corpi e delle loro leggi e ne disponessimo secondo la nostra volontà. Non so niente di come sarà la vita eterna, so soltanto che un “passaggio” simile l’abbiamo già fatto alla nascita, e che una “vita eterna” che è anche materiale, ma dove dominiamo la materia come noi la conosciamo, si accorda con tutto il discorso precedente».
Ecco. Hai sentito, nipotina mia? Tu sei la dimostrazione vivente, e sorridente, che per intuire almeno qualcosina di che cosa mi aspetta non devo affannarmi a guardare avanti, ma devo, semmai, guardare indietro. E penso proprio che lo stupore che provo nel vedere te, capolavoro della vita, sarà comunque piccolo rispetto a quello che mi sarà regalato quando si tratterà di fare, di nuovo, un salto in un’altra dimensione, al di là dello spazio e del tempo, dove tutto sarà sorrisitudine.
«Nghé!»
Come hai detto, nipotina mia?
«Nghé!»
Che ti sto annoiando?
«Nghé!»
Ah, già. Eccoti il ciuccio. E grazie.
Aldo Maria Valli

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