Monsignor Viganò / Omelia per il conferimento della Santa Cresima nella Veglia di Pentecoste
Qui diceris Paraclitus, Altissimi donum Dei.
Hymn. Veni, Creator
di monsignor Carlo Maria Viganò
Celebriamo oggi la Vigilia di Pentecoste. L’antica liturgia battesimale di questo giorno, abolita con la riforma del 1955, è stata recentemente riportata in uso da numerose comunità che seguono il rito tridentino, peraltro con il permesso della Commissione Ecclesia Dei. Il motivo di questa decisione è da attribuire al fatto che gli autori dell’Ordo Hebdomadæ Sanctæ instauratus di Pio XII siano gli stessi di Rubricarum Instructum di Giovanni XXIII e del Novus Ordo Missæ di Paolo VI. In un’ottica di ricupero dei tesori del Rito tradizionale è quindi comprensibile questa riscoperta non solo della Settimana Santa pre-1955, ma anche della simbolica liturgia di Pentecoste, detta Pasqua delle Rose in ricordo dell’antica usanza di far cadere dalla volta delle nostre chiese una pioggia di petali di rosa, che dovevano rappresentare le lingue di fuoco dello Spirito Santo. Ciò avviene ancora nella Basilica di Santa Maria ad Martyres, il Pantheon romano.
La sua indole battesimale richiama la Vigilia di Pasqua, perché i catecumeni che non avevano ricevuto il Battesimo nel Sabato Santo – ad esempio perché non ancora pronti o malati – potessero essere ammessi tra i neofiti durante la solenne funzione odierna. Questo antico rito contempla la benedizione del Sacro Fonte e il conferimento del lavacro sacramentale, e ci ricorda la sollecitudine della Santa Chiesa, che è Maestra nell’esigere la dovuta preparazione dei candidati al Battesimo, e Madre nel concedere loro un’altra opportunità alla conclusione del tempo pasquale. La lettura delle profezie costituisce, secondo dom Guéranger, un evidente rimando al Sabato Santo, con il doppio simbolismo della Pasqua e della Pentecoste ebraiche che si compiono nella Pasqua e nella Pentecoste cristiane.
Certamente il grande Pio XII, verso il quale abbiamo una profonda venerazione, non ebbe modo di cogliere in quei primi passi del renouveau liturgique, iniziato sin dagli anni Venti del secolo scorso, la minaccia che poi sarebbe apparsa evidente con la cosiddetta “riforma conciliare”. È per questo che il recupero dei riti anteriori al 1955 non mette minimamente in discussione il suo Pontificato, né il suo amore per la Liturgia Romana. Piuttosto, possiamo riconoscere l’astuzia diabolica con cui hanno agito i Novatori, che per piccoli passi hanno minato l’inestimabile tesoro del culto cattolico. Anziché dischiudere questo patrimonio, frutto di secoli di armonioso sviluppo, essi hanno ritenuto più comodo semplificarli, dimostrando in ciò non solo una mentalità del tutto aliena ad una vera comprensione della divina Liturgia, ma anche un sostanziale disprezzo del popolo santo di Dio, ritenuto a torto incapace di nutrirsi spiritualmente attingendo ad essa. Ma questo, sia chiaro, era pur sempre un pretesto, una scusa – la actuosa participatio, la partecipazione attiva dei fedeli – dietro cui si nascondeva la volontà di scardinare la Fede, la lex credendi, tramite la manomissione della sua espressione orante, la lex orandi.
In definitiva, i Novatori svelano la loro mancanza di fiducia nell’azione della Grazia infusa dallo Spirito Santo – che opera anche attraverso la Liturgia – e nella capacità dell’uomo di corrispondervi. Nella loro mentalità, nulla deve metterci alla prova, nulla deve rappresentare un’occasione di miglioramento: tutto dev’essere alla portata di tutti, nessun tesoro dev’essere dischiuso a chi essi ritengono mediocre e ignorante; il che tradisce la loro orgogliosa persuasione di essere superiori al proprio gregge. Questo classismo presuntuoso non si limita all’esteriorità, ma si estende anche alle questioni interiori, sicché per costoro l’ignoranza della Fede, l’accomodamento indolente della Morale, la pigrizia nella Spiritualità e nell’Ascesi devono essere la regola per una massa che non hanno nessuna voglia di guidare, di istruire, di ammonire. Troppa fatica, per chi per primo non crede, non ama, non spera. Troppo impegno, per chi è occupato a costruirsi una chiesa a propria immagine, considerando vecchia e improponibile la Chiesa di Cristo e la sua Liturgia. Per questo spersonalizzano gli individui e li annichiliscono in un’assemblea senza volto e senza volontà a cui imporre una visione orizzontale priva di anelito soprannaturale, nella certezza – che abbiamo peraltro sotto gli occhi – che un rito che esprime un’altra visione ecclesiologica e dottrinale avrebbe finito per cambiare la Fede di chi vi avrebbe assistito.
Viceversa, i buoni Pastori sono i primi che, nel solco della Tradizione e nella pratica costante e umile di quello che predicano, hanno il compito di indicare grandi traguardi alle anime loro affidate. Siate santi, come santo è il Padre vostro (Mt 5, 48), ci esorta Nostro Signore. E questa santità, che è fatta di eroismo (anche silenzioso) e di generoso abbandono alla volontà di Dio, è la risposta alla Grazia, che rende possibile a Dio ciò che da soli non sapremmo mai compiere. E oggi, con il conferimento della Santa Cresima al giovane Gabriele, ne abbiamo la prova: il Signore, che ci chiama ad essere figli dell’eterno Padre e membra vive della Chiesa mediante il Battesimo, ci rende nel Sacramento della Confermazione soldati di Cristo, pronti a combattere la buona battaglia. Ma Egli non ci lascia soli in questo cimento: ci fornisce le armi spirituali con cui affrontare il Nemico della nostra anima. Lo Spirito Santo ci dona queste armi potentissime – gratuitamente, come ogni cosa che viene da Dio – proprio nella Cresima e in tutti i Sacramenti: l’armatura di Dio, la cintura della verità, la corazza della giustizia, i calzari della predicazione, lo scudo della Fede, l’elmo della salvezza, la spada dello Spirito, l’addestramento della preghiera, la palestra del digiuno e della penitenza (Ef 6, 10-20).
Non inorgogliamoci di quello che il Signore ci consente di essere, né dei successi che grazie a Lui otteniamo; ma non scoraggiamoci nemmeno per i nostri fallimenti, per la nostra debolezza, per l’inesperienza nel maneggiare queste armi o la poca destrezza nell’impugnarle. Ripetiamo piuttosto con San Paolo: tutto posso in colui che mi dà forza (Fil 4, 13).
In questa Veglia solenne che ci prepara alla discesa del Paraclito, invochiamo lo Spirito Santo con la fiducia di chi conosce con realismo e umiltà la propria debolezza, ma anche l’infinita potenza del Signore Dio degli eserciti schierati, e quella non meno tremenda della nostra augusta Condottiera, Maria Santissima, terribilis ut castrorum acies ordinata. La guerra spirituale che combattiamo contro il mondo, la carne e il diavolo è stata vinta sulla Croce, dove il Nostro Signore e Dio ha sconfitto il nemico; dove la stirpe benedetta della Donna coronata di stelle e rivestita di sole ha schiacciato il capo dell’antico Serpente. Essa conoscerà la vittoria totale alla fine dei tempi, quando nuovamente la Donna annunciata nella Genesi e il frutto del Suo seno stermineranno l’Anticristo e Satana. Noi ci troviamo nel mezzo di questo epocale conflitto, e se vogliamo trionfare con Cristo e con la Sua Santissima Madre, dobbiamo combattere con entusiasmo sotto le insegne gloriose del nostro Re, protetti dall’armatura che lo Spirito Santo – παράκλητος, ossia difensore, consigliere e avvocato – ci mette a disposizione, precipuamente con la Grazia conferita nella Cresima.
Abbiamo alti ideali, grandi sfide, entusiasmanti duelli da affrontare. Ne avrà, con l’aiuto di Dio, anche il giovane Gabriele, che la Chiesa arruola nelle sue schiere come miles Christi, dotandolo di tutto l’equipaggiamento spirituale di cui necessita, fornendogli le cure della Confessione, nutrendone la forza e il vigore con il Cibo soprannaturale della Santissima Eucaristia. Gabriele: forza di Dio. Lo Spirito Santo darà anche a te – come ha dato e continua a elargire a ciascuno di noi – i Suoi Doni, il sacro Settenario: la sapienza, l’intelletto, il consiglio, la fortezza, la scienza, la pietà, il timor di Dio.
Non lasciamoci dunque scoraggiare da chi ci vuole deboli e disarmati, rassegnati e ignoranti, per poterci meglio abbattere e vincere: riponiamo piuttosto ogni nostra speranza in Dio, che ci chiama all’eroismo della santità perché ci vuole alla Sua destra nel giorno glorioso della vittoria, quando porrà i Suoi nemici a sgabello dei Suoi piedi (Sal 109, 2). E così sia.
+ Carlo Maria Viganò, Arcivescovo
27 maggio 2023
Sabbato in Vigilia Pentecostes