Sul senso spirituale della parabola del buon samaritano

di Rita Bettaglio

Confesso: quanto è scritto qui sotto non è farina del mio sacco. È ciò che ho colto di un’omelia, breve, concisa ma efficace, sul senso spirituale della parabola del buon samaritano.

Facendo appello al mio Angelo custode, perché illumini la mia memoria, ne parlo perché trovo sia la fedele descrizione dello stato dell’umanità. Ieri, oggi e sempre, perché Cristo è lo stesso ieri oggi e sempre: semper idem (a proposito, lo sapevate che era il motto del compianto cardinale Ottaviani?).

E meno male… perché di novatori di ogni fatta abbiamo l’indigestione e un senso d’ingravescente nausea.

Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico. Chi è quest’uomo?

I Padri della Chiesa dopo lunga meditazione ne illustrano il senso spirituale assai profondo.

L’uomo è Adamo, il buon samaritano è Cristo, l’albergo è la Chiesa e la Gerusalemme è quella celeste, il paradiso dal quale Adamo è escluso.

Rileggiamo la parabola sotto questa luce.

Un uomo, Adamo, scendeva da Gerusalemme. A causa del suo peccato perse la cittadinanza nella Gerusalemme celeste. Ne dovette uscire e scese verso Gerico, cioè fu costretto a subire tutte le prove della vita terrestre.

Adamo incappò nei briganti che lo spogliarono: i briganti sono i diavoli e i loro angeli che lo spogliarono della veste dell’immortalità e lo percossero lasciandolo mezzo morto.

Adamo (cioè noi tutti, ognuno di noi), oppresso dai suoi peccati, è veramente mezzo morto.

Un sacerdote passa oltre. È Aronne: i sacrifici della legge.

Un levita passa oltre: gli esperti della legge e i profeti.

Infatti né la Legge né i profeti potevano guarire le piaghe del peccato.

Invece un samaritano che è in viaggio, passandogli accanto, lo vide e si fermò. Il samaritano è Cristo. Disprezzato e reietto da tutti, uomo dai molti dolori che ben conosce il patire, Cristo vide Adamo sofferente e bisognoso e ne ebbe compassione. Come dice il profeta Isaia, Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori.

Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite versandoci olio e vino. Fasciare le ferite significa perdonare i peccati. Versare olio e vino significa la guarigione delle piaghe e la consolazione della speranza. Un’altra interpretazione è anche possibile: il vino significa il sangue della croce per mezzo del quale Cristo ha riconciliato a Sé tutte le cose e l’olio è il crisma del Battesimo. Il medico celeste guarisce i nostri peccati per mezzo della Sua morte sulla croce e tramite la grazia del battesimo e ci fa partecipi della vita di Cristo stesso.

Christus medicus, medico delle anime e dei corpi. Dice sant’Agostino: è la mano del medico, non del ladrone, la mano del Cristo che deterge, disinfetta, fascia le ferite.

Gli fa eco san Benedetto che nel capitolo XXVII della sua Regola invita l’abate a usare ogni sollecitudine verso i suoi monaci, ut sapiens medicus.

Medico è Cristo, medico l’abate che nel monastero tiene il posto di Cristo, medico è chiamato a essere anche il padre di famiglia, sull’esempio di san Giuseppe.

Torniamo alla parabola, ché abbiamo divagato un poco.

Cristo, caricato Adamo sul suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giumento della parabola è la nostra carne mortale assunta da Cristo per potersi caricare delle nostre sofferenze e addossarsi i nostri dolori.

La locanda è la Chiesa che accoglie i pellegrini, stanchi del viaggio in questo mondo, oppressi dal peso dei loro peccati. Nella locanda della Sua Chiesa Cristo prepara una mensa per i peccatori perdonati. Gli invitati sono raccolti ai crocicchi delle strade, ma devono indossare l’abito nuziale.

Il samaritano il giorno seguente estrasse due denari e li diede all’albergatore. Di chi è l’immagine sulla moneta? È di Cristo, perché Cristo è l’immagine del Dio invisibile e l’uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio. In Adamo quest’immagine, sfigurata dal peccato, viene ripristinata dall’esercizio assiduo dei due grandi comandamenti: l’amore di Dio e l’amore del prossimo.

Disse poi all’albergatore: “Abbi cura di lui e quello che spenderai in più te lo rifonderò al mio ritorno”. L’albergatore è l’apostolo e ogni persona che propaga il Vangelo. San Paolo disse: “Per conto mio mi prodigherò volentieri, anzi consumerò me stesso per le vostre anime” (2Cor 12, 15). Gli apostoli hanno speso tutto e oggi il cristiano deve similmente spendersi.

Cristo rifonderà ogni bicchier d’acqua dato nel Suo nome, ogni più piccolo atto di carità, corporale e spirituale.

Quando lo farà? Al Suo ritorno, dice. Al ritorno glorioso, alla fine dei tempi, certo. Ma anche ogni volta che visita un’anima coi Sacramenti e la Sua grazia, con i doni dello Spirito Santo.

Dobbiamo chiederli con insistenza al Medico celeste, specie in questi tempi di grande e profonda malattia di tutti e di ognuno. Ce lo insegna la sequenza di Pentecoste.

Lava ciò che è sordido, bagna ciò che è arido, sana ciò che sanguina.

Egli, infatti, perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue malattie.

 

Deo gratias!

 

 

 

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