Appello / Riconoscere come martiri tutti gli embrioni, o neonati, sacrificati alla causa della ricerca scientifica
di don Marco Begato
Nell’ultimo video-editoriale registrato per l’Osservatorio cardinale Văn Thuận ho sostenuto l’opportunità di porre la propria firma all’iniziativa Un cuore che batte, promossa da Giorgio Celsi (Ora et Labora in difesa della vita) e da altre quattordici associazioni e intenta a reintrodurre un piccolo, ma significativo paletto nella limitazione del crimine di aborto.
Vero è che tale iniziativa non punta all’eliminazione diretta dell’aborto, ma altrettanto chiaro dalla mens dei promotori è che essa rappresenta l’inizio di un processo che mira decisamente a quel fine. E a riguardo la dottrina sociale insegna, con riferimento immediato al compito dei parlamentari in ambito legislativo, che “un parlamentare, la cui personale assoluta opposizione ad essi fosse chiara e a tutti nota, potrebbe lecitamente offrire il proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni di tali programmi e di tali leggi e a diminuire gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica” (n. 570).
Ora nell’attività di strenua denuncia dell’aborto, portata avanti da anni dalle associazioni promotrici di Un cuore che batte, noi ritroviamo quell’intenzionalità volta a limitare i danni di programmi che non si vorrebbero perpetuare, ma che ora non si ha la forza di annichilire.
Rispetto al profilo di ricerca dell’Osservatorio, notavo in quel medesimo editoriale come l’iniziativa di Celsi avesse un ulteriore merito, quello cioè di riportare nuovamente molte persone nella Chiesa a condannare chiaramente l’aberrazione degli aborti.
Purtroppo, complice una dichiarazione vaticana peraltro accompagnata da puntuali condizioni (ne avevo scritto qui), la pressoché totalità dei cattolici sono scesi a compromesso con il crimine abortivo, accettando la legittimità di un vaccino la cui produzione ha implicato il ricorso agli aborti.
A dirla tutta – e il presente articolo colma, dunque, le lacune del mio video-editoriale – la percezione evidente che i cattolici siano tornati a condannare l’uso di feti abortiti per la ricerca scientifica non è così evidente. O almeno non è chiaro se tale condanna, peraltro di prassi nella prospettiva bioetica cattolica, continui a mantenere una deroga in caso di Covid-19 e simili psico-emergenze oppure no.
Va pur detto che alcune voci si sono alzate nel frattempo. Una di queste è la denuncia della Comece, la Commissione delle Conferenze episcopali dell’Unione europea, che ha criticato la proposta di regolamento discussa lo scorso settembre dal Parlamento dell’Unione sui parametri di qualità e sicurezza per le sostanze di origine umana destinate all’applicazione sugli esseri umani. Nuovamente, come e in che proporzione tale critica si componga con la deroga attorno ai vaccini anti-Covid rimane in sospeso e suscita qualche perplessità, sia di metodo che di contenuto.
Un secondo evento di indubbio interesse è la beatificazione per martirio della famiglia polacca Ulma, che comprende sette membri e tra questi un bimbo allo stato fetale o quantomeno nato negli istanti del martirio stesso.
C’è anche un bambino “nato al momento del martirio della madre” tra i nuovi beati saliti agli onori degli altari domenica 10 settembre durante un solenne rito celebrato in Polonia. Non solo. A rendere eccezionale l’avvenimento è che si tratta di un intero nucleo familiare: papà, mamma e sette figli. L’ultimo appunto era nel grembo materno al momento della strage e l’assalto criminale ne ha accelerato la venuta al mondo. La precisazione è del Dicastero delle cause de santi, presieduto dal cardinale prefetto Marcello Semeraro. In una nota infatti, si sottolinea che al momento dell’eccidio, la madre, “signora Wiktoria Ulma, era in stato di avanzata gravidanza del settimo figlio”. Quest’ultimo “è stato partorito al momento del martirio della madre”. Di fatto, conclude la nota, “nel martirio dei genitori egli ha ricevuto il Battesimo di sangue”.
La passione della testimonianza e lotta contro l’aborto recupera dunque terreno tra iniziative popolari, rimostranze diplomatiche e pronunciamenti canonici. Resta la grande ombra con annesse domande: il Covid-19 fa eccezione? Il documento vaticano al riguardo è stato rettamente emanato, compreso e applicato? La condiscendenza a tale vaccinazione fu un errore? Abbiamo introdotto delle opzioni jolly nella bioetica e in generale nel dovere di salvaguardare la dignità della vita umana?
Immagino che simili domande non potranno trovare risposta e verranno tacciate di “indietrismo”, ragion per cui attendo chiarezza dalla Chiesa del futuro. Senza perdere dunque altro tempo nella formulazione di dubbi (dubia) destinati a ricevere risposte ambigue, provo una diversa strada e mi faccio promotore di un appello.
Mi ispira proprio il caso della famiglia Ulma, con quel dettaglio dibattuto e proprio in ciò doppiamente interessante, relativo allo status del più giovane membro martirizzato: un feto (tesi degli ambienti pro-life polacchi o un bimbo nato all’atto del martirio (tesi vaticana, sostenuta nell’articolo su citato)?
Il mio appello riguarda la dignità dei feti abortiti, categoria nella quale includerei specialmente le vittime dello scientismo. Ora è notorio che per la ricerca scientifica è uso abortire programmaticamente i feti, in modo che appena nati possano esse vivisezionati e così servire per le delicate fasi di laboratorio successive. Per cui l’omicidio di feti intrauterini o di neonati soppressi alla nascita sono casi che si accomunano e sovrappongono nella pratica clinica.
Ebbene per gli uni e per gli altri, proprio alla luce del dibattito agiologico in corso, il piccolo Ulma si candida ad essere un felice patrono della categoria vittimale considerata.
E se il caso del piccolo Ulma ha meritato l’onore della palma martiriale – ecco, dunque, la mia proposta – è possibile rivolgere al Dicastero delle Cause dei Santi la richiesta di riconoscere come martiri tutti gli embrioni, o neonati, sacrificati alla causa della ricerca scientifica?
Troverebbero finalmente giustizia tanti innocenti sacrificati. Troverebbero in particolare soddisfazione anche le vittime immolate alla campagna vaccinale anti-Covid (senza peraltro bisogno di esplicitare tale riferimento) e così, a mio avviso, si compirebbe finalmente quell’atto di riparazione richiesto dalla giustizia e si illuminerebbe un principio di conversione per i tanti fedeli, pastori o laici, compromessi con le scelte degli ultimi anni. Sì, lo giudico atto capace di contrastare nettamente quel grave colpo che la fede e la morale hanno accusato a causa del cedimento di moltissimi. Un grande atto ecclesiale capace di rigenerare i battezzati e di riaccendere la santa causa della difesa dei bambini non nati, forse finalmente riportandola a quel livello di testimonianza e di efficacia che negli ultimi decenni ci ha visto e più e più perdenti.