Chiesa in uscita e vecchi preti
di Nicolò Raggi
Caro Valli,
nella notte tra il 22 e il 23 novembre è morto don Augusto Cecchini, anziano sacerdote di quella che un tempo fu la diocesi di Urbino, da poco più di un anno de facto soppressa dopo 1600 anni e ridotta a succursale di Pesaro.
Don Augusto, dopo una vita da parroco, ha trascorso gli ultimi anni come penitenziere della cattedrale.
Abitava a quindici chilometri dal centro di Urbino e ogni giorno saliva al mattino e rientrava a pranzo dalla sorella, per poi tornare al pomeriggio e rincasare la sera con la sua piccola automobile.
Sessanta chilometri al giorno, senza che mai gli fosse venuto neppure il dubbio che fossero troppi: era un ministro del Signore impegnato a confessare, un importante ministero!
L’ho conosciuto così, seduto al tavolino della cappella a fianco all’altare, bonario, schietto, sempre con qualcosa da leggere tra un penitente e l’altro, cui spesso ripeteva: “Eh, caro mio, di questa pasta siamo fatti… ma non bisogna scoraggiarsi!”
No, non ti potevi scoraggiare. Lui, pur vecchio e malandato, ti faceva venire una gran voglia di vivere e di vivere bene, con fede nel Signore e nella sua santa Madre.
“Non ti senti solo?” gli domandavo, e lui, cui mancava tanto la parrocchia, svelto rispondeva: “No, no! C’è il buon Dio con me e la Madonnina!”.
Ti confessavi e trovavi un amico, un “vecchietto delle favole” – come lo chiamava mia madre – a cui tu interessavi, che si faceva carico della tua storia perché diventava anche la sua.
L’estate scorsa le gambe hanno cominciato a cedere e non è potuto più salire in cattedrale. Ha dovuto lottare contro la sua stessa tempra per rassegnarsi a rimanere a casa e, quando andavo a trovarlo, per prima cosa si scusava di non poter più venire e per seconda si preoccupava che ci fosse un altro confessore.
Per fortuna non ha dovuto vedere -anche se credo lo sapesse, nonostante le false rassicurazioni che qualcuno gli forniva- che non solo il duomo non ha più alcun confessore, ma è stata persino soppressa la messa feriale!
Il vescovo “unificato” si vede raramente e ognuno fa ciò che vuole, compreso far rimuovere la postazione di confessore di don Augusto ancor prima che morisse, anzi forse per farlo morir meglio di crepacuore.
Tutto avviene così, come se nulla fosse, come si annulla la Veglia pasquale in tutte le parrocchie e si costringono i preti a farla in duomo, dove poi si decide di non celebrarla più durante tutta la settimana!
Beh, si dirà, Urbino è città universitaria, chissà quanti giovani vanno alla messa della domenica.
La chiesa dove si celebrava la messa universitaria era adibita, l’ultima volta che ci sono entrato, a mercatino etnico – qualunque cosa voglia dire – e per gli studenti si è pensato alla cappella del Santissimo al duomo, che conta non più di trenta posti, stando stipati.
Ma non c’è problema, alla messa universitaria della domenica sera non si superano i dieci studenti, spesso neanche i cinque, e gli universitari a Urbino sono 14 mila: in percentuale lo 0,03.
Insomma, tutto molto bene, se non che a me la storia di don Augusto Cecchini ha fatto tornare in mente quella di don Enea Paganotto, altro penitenziere del duomo, questa volta di Ravenna, morto due estati fa dopo che a quasi novant’anni era arrivato a fare lo sciopero della fame per non essere rinchiuso in una RSA.
Si dice che il livello di civilizzazione di un popolo si misura a prima vista dalla considerazione che ha per i propri anziani. Direi proprio che vale lo stesso per il livello di fede di una Chiesa.