Group of kids playing video games on smart phone after school

Contro la “squola”, a favore della scuola. Con un appello al ministro Valditara

di Marco Radaelli

Caro Valli,

sarei felice di poterla accompagnare, un giorno, all’interno di un qualsiasi istituto scolastico, per mostrarle quanto siano veritieri i risultati delle prove Invalsi cui ogni anno sono sottoposti gli studenti delle scuole italiane. Potrebbe constatare con i suoi occhi la proliferazione dei “fù” con l’accento, delle “conoscienze” con la i, dei “cavaglieri” (ma anche la variante “cavallieri” è molto gettonata) e dei “signiori” capaci addirittura di stare “impiedi”. Potrebbe anche capitarle di incontrare gli esattori che “risquotono” le tasse e che “perquotono” chi non le paga, specie se appartenente alle classi inferiori che, in quanto a reddito, “non c’elavevano”. E se proprio fosse fortunato, caro Valli, potrebbe incontrare il grande “conduttore” Pisistrato, il mitico “Serbo Tullio”, le oche del “Campi d’olio”, e pure Cristoforo Colombo che nel 1492 “sbarchò” sulle coste americane. Potrebbe anche scoprire che a firmare la Magna Charta Libertatum fu il disneyano “Giovanni il re fasullo d’Inghilterra”, che una delle grandi innovazioni tecniche di età medievale fu “il mulino bianco”, che i pitagorici furono i primi “a togliere la Terra come c’entro” e che “i Paesi Bassi sono la Spagna, l’Italia e la Grecia”. Infine, se dovesse avanzarci ancora del tempo, potrei presentarle studenti che, in barba a ogni legge della fisica, del moto e delle equivalenze, sostengono di aver fatto una passeggiata in montagna percorrendo in un’ora “mille chilometri”.

Non voglio ridurre le cose a un problema superficiale di linguaggio, di parole e di errori grammaticali, ma non è possibile supporre che questo dilagante imbarbarimento linguistico sia in qualche modo il segno evidente di un imbarbarimento educativo più profondo che da anni, a casa ma anche a scuola, ha quasi abolito dal proprio orizzonte la fatica, il sacrificio per ottenere il risultato, il “no” (per non traumatizzare), il rimprovero e il voto brutto (per non demotivare)? E, a sua volta: non è possibile, secondo lei, ipotizzare tra le cause di un altro imbarbarimento, quello sociale di cui siamo continuamente testimoni, proprio questa “sciatteria” educativa? Molte volte, a proposito dei tristi fatti di cronaca, si sente dire che al fondo vi sia una incapacità di fronteggiare le fatiche, gli insuccessi, i rifiuti e i “no”. Ma queste doti, caro Valli, non calano a un certo punto dall’alto per opera dello Spirito Santo. Si imparano con il tempo e con l’allenamento. E si imparano a casa, innanzitutto, e poi anche a scuola attraverso il lavoro scolastico ben fatto. Perché un lavoro scolastico ben fatto non solo istruisce ma educa, formando personalità mature capaci di affrontare la vita perché si sono allenate per farlo.

Il mio dubbio, insomma, è che l’origine dei problemi non si trovi in un fantomatico patriarcato o in una mancata considerazione del valore della donna, quanto piuttosto in una zoppicante educazione famigliare e una sempre meno esigente educazione scolastica. È la mancanza di queste a creare individui fragili sia emotivamente sia psicologicamente, e pensare di risolvere i problemi inserendo continuamente corsi su ogni tema, provocando una frammentazione del normale lavoro scolastico e interrompendone la necessaria continuità, è semplicemente una follia perché, contribuendo solamente a indebolire un sistema scolastico già debole, non fa altro che aggravare ciò che vorrebbe risolvere. Un po’ come voler curare un ferito procurandogli altre ferite. E se la soluzione fosse esattamente quella opposta, ovvero ritornare in aula a svolgere le lezioni pretendendo dagli insegnanti, dagli studenti e anche dalle famiglie impegno, precisione, attenzione, profondità, lavoro, fatica e sacrificio (tutte parole per le quali oggi un insegnante potrebbe anche essere denunciato), ed eliminando dalla scuola tutto il nulla cosmico che negli anni è stato inserito, utile solo a interrompere il normale svolgimento delle lezioni?

Penso dunque che ce ne sia abbastanza per rivolgere al ministro Valditara un appello “contro la squola, a favore della scuola”:

«Signor ministro, La prego, lasci lavorare i suoi docenti e i suoi studenti! Tolga di mezzo tutti quegli impedimenti che limitano le loro energie e rubano loro il prezioso tempo che dovrebbe essere dedicato a fare bene il proprio lavoro. Abbia il coraggio di riportare la scuola a essere quel luogo di crescita e di consapevolezza che deve essere, ed elimini tutto ciò che si frappone tra la scuola e il suo obiettivo.

Abbia il coraggio di essere un vero ministro dell’Istruzione e di fare scelte impopolari. Abbia la volontà di avventurarsi in una seria riflessione sulla scuola e, al termine di questa riflessione, abbia il coraggio di fare l’unica cosa da fare: azzeri tutto e ricostruisca la scuola da capo. Elimini tutta la burocrazia pseudo-sovietica che ci riduce a ingranaggi di un colosso che si auto-alimenta a forza di verbali. Ci liberi da tutti gli inutili corsi di formazione che non formano; dagli strampalati aggiornamenti che non aggiornano; dalle relazioni da redigere per forza ma che nessuno leggerà mai; dalle griglie da stendere che però nessuno seguirà; dalle prove parallele che non sono parallele a niente vista l’unicità di ogni classe, di ogni docente e di ogni alunno; dalle commissioni e dalle sottocommissioni a cui i docenti devono partecipare ma che il più delle volte hanno il solo compito di avallare ciò che è già stato deciso in altre sedi. E, già che c’è, abolisca l’alternanza scuola-lavoro, un’aberrazione che non c’entra niente con la scuola. La scuola è già di suo un lavoro, non ha bisogno di aggiunte posticce. Infine, la smetta di considerare la scuola come un contenitore dentro cui buttare ogni cosa salti in mente ai moderni (sedicenti) pedagoghi. Non se ne può più delle “educazioni per tutti i gusti” che non educano nessuno, imposte dall’alto da chi non ha l’intelligenza per capire che di certo un ragazzo non cambierà le proprie abitudini perché ha seguito un corso. Ma in compenso avrà perso tempo prezioso per l’unico vero lavoro che si dovrebbe fare a scuola, ovvero la costruzione di sé, la scoperta e la coltivazione delle proprie qualità attraverso lo studio e l’esercizio, per mezzo di un lavoro serio e continuativo nel tempo. Davvero Lei pensa che un corso sulle relazioni sia più efficace di un sonetto di Dante, per insegnare ai giovani cosa vuol dire trattare una ragazza come merita? Davvero Lei pensa che un corso di educazione civica valga più dell’Apologia di Socrate, per instillare nell’animo di chi la studia i valori del bene e della cittadinanza? I programmi scolastici sono pieni di argomenti e di esempi bellissimi che, se scelti con cura e spiegati con altrettanta attenzione, possono trasmettere non solo contenuti ma anche valori e modi di vivere all’altezza dell’essere umano. Come può, da uomo di cultura qual è, non accorgersi di questo, e non capire che solo la cultura – e non un corso estemporaneo – può generare a sua volta cultura, contribuendo a costruire nella personalità di ciascuno valori morali e comportamenti civili?

Signor ministro, Si mostri un uomo di coraggio, cosciente del carrozzone che è diventato la scuola. Non contribuisca anche Lei ad affossarlo! Inverta la rotta, ripulisca la scuola da tutto ciò che non serve e la danneggia, oscurandone la bellezza e il valore. Stia dalla parte del lavoro scolastico fatto bene, l’unico che può generare persone coscienti di sé e del valore delle cose. Stia dalla parte degli studenti, che sono a scuola per imparare e invece vengono continuamente distolti dal farlo. E stia dalla parte dei docenti. Ci permetta di svolgere in santa pace l’unico lavoro che conta, quello per cui in verità saremmo anche stati assunti. Ma ci lasci anche il tempo per farlo bene. Non ci metta nelle condizioni di doverlo fare nei ritagli di tempo, al termine di giornate piene di nulla, un nulla che però si è portato via tutte le nostre energie. Non incentivi quel distorto modo di intendere la scuola per il quale il lavoro dell’insegnante consisterebbe nel fare di tutto tranne che insegnare. Interrompa questa deriva, signor ministro. Come si può fare seriamente il proprio lavoro in queste condizioni? Come si può riuscire a lavorare e a prepararsi bene quando si buttano via intere giornate a causa di attività che non fanno altro che dirottare verso cose inutili forze ed energie che dovrebbero essere impiegate per ciò che davvero vale? Come fa un docente a studiare, a preparare bene le lezioni, a correggere con attenzione, a fare bene insomma quello che semplicemente dovrebbe essere il suo lavoro, se il tempo per farlo, insieme alle sue energie, viene continuamente mangiato da tutte le attività di cui la scuola è stata riempita? E gli studenti, da parte loro, come fanno a seguire un percorso di crescita se questo percorso è continuamente spezzato da miriadi di attività che lo frammentano senza sosta? Come si fa a parlare di cammino, se i passi vengono continuamente deviati per dedicarsi a cose che non hanno nulla a che vedere con un percorso di apprendimento serio e strutturato? Faccia piazza pulita delle incrostazioni che oscurano la bellezza di questo lavoro e appesantiscono inutilmente l’animo dei docenti. Non li spinga a desiderare di cambiare lavoro, come invece accade spesso oggi. Signor ministro, si dimostri un vero uomo, oltre che un vero ministro dell’Istruzione: ci lasci lavorare in pace! Ci permetta di utilizzare tutte le nostre energie per svolgere l’unico lavoro che dovrebbe essere svolto a scuola, ovvero quello di educare insegnando».

*

Ringrazio il professor Marco Radaelli che con i suoi preziosi articoli, e la sua genuina passione, ci fa entrare nell’attuale mondo della scuola (o squola, ahinoi). Mi permetto solo di aggiungere un ricordo personale. La mia maestra elementare (anni Sessanta del secolo scorso) quando noi alunni facevamo errori di grammatica e sintassi ci chiamava “belve feroci”. Poi ci faceva riscrivere tutto quanto. E i nostri genitori ringraziavano. Oggi una maestra così sarebbe già stata denunciata più volte e contro le sue valutazioni sarebbero fioccati i ricorsi al Tar. Per questo non credo che basti un ministro dell’Istruzione, per quanto bravo, a risollevare le sorti della scuola. Ma mai perdere la speranza. I miracoli sono sempre possibili.

A.M.V.    

 

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