Quell’11 settembre di Paolo VI e monsignor Lefebvre

«Lei si trova in una posizione terribile! Lei è un antipapa!».

«Non è vero. Io cerco solo di formare sacerdoti secondo la fede e nella fede».

Immaginiamo la scena. Da una parte il papa, Paolo VI, settantanove anni, colui che ha portato a termine il Concilio Vaticano II. Dall’altra monsignor Marcel Lefebvre, settantuno anni, l’arcivescovo che non accetta il Concilio e ha fondato la Fraternità sacerdotale San Pio X.

Il confronto avviene nella residenza estiva del papa, a Castel Gandolfo. È l’11 settembre 1976. I due anziani sono divisi su tutto, eppure entrambi si sentono al servizio della santa Madre Chiesa. E cercano un accordo. Che non ci sarà.

Il 22 luglio di quel 1976 monsignor Marcel Lefebvre, che ha fondato la Fraternità sacerdotale San Pio X sei anni prima, si è visto comminare dalla Santa Sede la gravissima pena della sospensione a divinis. È la conseguenza delle ordinazioni sacerdotali conferite da Lefebvre a Ecône, ma l’arcivescovo, che si oppone strenuamente alle riforme apportate dal Concilio Vaticano II, non demorde. «Noi siamo con duemila anni di Chiesa e non con dodici anni di una nuova chiesa, una “chiesa conciliare”», dice il 22 agosto, nella festa del Cuore Immacolato di Maria, citando la lettera con la quale monsignor Giovanni Benelli gli ha chiesto un atto di sottomissione.

«Io non conosco questa “chiesa conciliare” – dice Lefebvre –, io conosco solo la Chiesa cattolica. Dunque dobbiamo restare fermi nelle nostre posizioni. In nome della nostra fede, dobbiamo accettare qualsiasi cosa, qualsiasi sopruso, anche se ci disprezzano, anche se ci scomunicano, anche se ci infliggono pene, anche se ci perseguitano».

Il momento è drammatico. Alcuni commentatori non esitano a parlare di scisma imminente e i margini di manovra sembrano ormai ridottissimi.

Tuttavia è proprio in quel frangente che si apre la possibilità di un incontro tra monsignor Lefebvre e Paolo VI. Si tratta appunto del colloquio dell’11 settembre 1976 a Castel Gandolfo, e ora, grazie al libro di padre Leonardo Sapienza La barca di Paolo, disponiamo della sua trascrizione completa: otto pagine dattiloscritte, anche con l’ora di inizio e fine del confronto (dalle 10:27 alle 11:05), redatte da un verbalizzatore d’eccezione, ovvero lo stesso monsignor Benelli,  all’epoca sostituto della segreteria di Stato e che pochi mesi sarà promosso arcivescovo di Firenze e creato cardinale.

Un po’ in italiano e un po’ in francese, alla presenza, oltre che di Benelli, anche del segretario particolare del papa, don Pasquale Macchi, il colloquio si apre con quella che Lefebvre, più tardi, parlandone con alcuni seminaristi, definirà «una tempesta».

Il papa e il monsignore francese si conoscono da tempo e in passato, ai tempi di Milano, l’allora arcivescovo Montini ha espresso pareri lusinghieri su Lefebvre. Poi si sono incontrati durante la fase preparatoria del Concilio voluto da Giovanni XXIII. Ma Paolo VI quell’11 settembre non è intenzionato a fare sconti. Esordisce: «Lei mi condanna, io sono modernista, protestante. È inammissibile! Lei si comporta male». Dice: «Spero di avere di fronte a me un fratello, un figlio, un amico», ma accusa Lefebvre senza mezzi termini: «Purtroppo la posizione da lei presa è quella di un antipapa. Ella non ha consentito alcuna misura nelle sue parole, nei suoi atti, nel suo comportamento».

In gioco, spiega il pontefice, non è la persona, ma il papa: «E lei ha giudicato il Papa come infedele alle Fede di cui è supremo garante. Forse è questa la prima volta nella storia che ciò accade. Lei ha detto al mondo intero che il Papa non ha la fede, che non crede, che è modernista, e così via. Debbo, sì, essere umile, ma lei si trova in una posizione terribile. Compie atti, davanti al mondo, di un’estrema gravità».

Monsignor Lefebvre replica in modo più morbido nei toni, ma con identica fermezza nella sostanza. Pur ammettendo che forse alcune delle sue parole sono state inopportune, spiega di non aver mai voluto colpire il papa e soprattutto dice che le sue iniziative sono soltanto una risposta fornita a esigenze manifestate da persone che vogliono restare fedeli alla Chiesa di sempre: «Non sono io che voglio creare un movimento; sono le persone fedeli che sono straziate dal dolore e non accettano certe situazioni. Io non sono il capo dei tradizionalisti. Io sono un vescovo che, straziato dal dolore per ciò che accade, ha cercato di formare dei sacerdoti come faceva prima del Concilio. Mi comporto esattamente come prima del Concilio. Perciò non riesco a capire come sia possibile che all’improvviso mi si condanni per il fatto di formare dei sacerdoti nell’obbedienza alla sana tradizione della santa Chiesa».

A questo punto Paolo VI invita monsignor Lefebvre a proseguire nella sua spiegazione, e il fondatore della Fraternità San Pio X afferma: «Molti sacerdoti e molti fedeli pensano che è difficile accettare le tendenze che si sono fatte il giorno dopo il Concilio ecumenico Vaticano II sopra la liturgia, sulla libertà religiosa, sulle relazioni tra la Chiesa e gli Stati cattolici, sulle relazioni della Chiesa con i protestanti. Non si vede come quanto si afferma sia conforme alla sana Tradizione della Chiesa. E, ripeto, non sono il solo a pensarlo. C’è tanta gente che la pensa così. Gente che si aggrappa a me e mi spinge, spesso contro la mia volontà, a non cedere. Non so che cosa fare. Io cerco di formare dei sacerdoti secondo la fede e nella fede. Quando guardo agli altri seminari, soffro terribilmente: situazioni inimmaginabili. E poi: i religiosi che portano l’abito sono condannati e disprezzati dai vescovi, quelli che invece sono apprezzati sono quelli che vivono una vita secolare, che si comportano come la gente del mondo».

Paolo VI a questo appunto ammette che il Concilio ha dato adito ad «abusi» e spiega che sta lavorando per eliminarli, ma rimprovera a monsignor Lefebvre di non cercare di capire le ragioni del papa che si sta impegnando per assicurare alla Chiesa la fedeltà alla tradizione e nello stesso tempo la rispondenza alle nuove esigenze. Noi, dice il papa, «siamo i primi a deplorare gli eccessi. Siamo i primi ed i più solleciti a cercare un rimedio. Ma questo rimedio non può essere trovato in una sfida all’autorità della Chiesa. Gliel’ho scritto ripetutamente. Lei non ha tenuto conto delle mie parole».

Lefebvre replica a sua volta che la battaglia intrapresa è a difesa della fede. Quello che si legge nei testi del Concilio, dice riferendosi in particolare alla libertà religiosa, è contrario a quanto hanno detti i papi precedenti, e ciò è inammissibile.

I singoli argomenti, osserva il papa, non possono essere trattati in un’udienza. Ciò di cui si sta discutendo «è la sua attitudine contro il Concilio». Ed è a questo punto che il confronto prende le caratteristiche del classico dialogo tra sordi.

Monsignor Lefebvre: «Io non sono contro il Concilio, ma contro alcuni dei suoi atti».

Paolo VI: «Se non è contro il Concilio, deve aderire ad esso, a tutti i documenti».

Monsignor Lefebvre: «Occorre scegliere fra quello che ha detto il Concilio e quello che hanno detto i vostri Predecessori».

Paolo VI: «Come ho detto, ho preso nota delle sue perplessità».

A questo punto Lefebvre, avendo l’opportunità di rivolgersi direttamente al papa, formula «una preghiera» a nome di tutti i fedeli che non vogliono allontanarsi dalla tradizione: «Non sarebbe possibile – chiede – che i vescovi accordino, nelle chiese, una cappella in cui la gente possa pregare come prima del Concilio? Oggi si permette tutto a tutti: perché non permettere qualcosa anche a noi?».

Risponde Paolo VI: «Siamo una comunità. Non possiamo permettere autonomie di comportamento alle varie parti».

Eppure «il Concilio – osserva Lefebvre – ammette il pluralismo. Chiediamo che tale principio si applichi anche a noi. Se Vostra Santità lo facesse, tutto sarebbe risolto. Ci sarebbe aumento di vocazioni. Gli aspiranti al sacerdozio vogliono essere formati nella pietà vera. Vostra Santità ha nelle mani la soluzione del problema che tormenta tanti cattolici nell’attuale situazione. Per quanto mi riguarda, sono pronto a tutto, per il bene della Chiesa: che qualcuno della Sacra Congregazione dei Religiosi sia preposto alla vigilanza del mio seminario; non farò più conferenze, resterò nel mio seminario. Prometto che non ne uscirò più; si potrebbero fare degli accordi con i vari vescovi per mettere i seminaristi al servizio delle loro rispettive diocesi ; eventualmente, si potrebbe nominare una Commissione per il Seminario, in accordo con monsignor Adam [Nestor Adam, vescovo di Sion, nel Canton Vallese, sul territorio del quale si trova il seminario di Ecône, ndr]».

Paolo VI ricorda a Lefebvre che il vescovo Adam «è venuto a parlarmi a nome della Conferenza Episcopale Svizzera, per dirmi che non poteva più tollerare la sua attività… Che devo fare? Cerchi di rientrare nell’ordine. Come potete considerarvi in comunione con Noi, quando prende posizione contro di Noi, di fronte al mondo, per accusarci d’infedeltà, di volontà di distruzione della Chiesa?».

«Non ne ho mai avuto l’intenzione…», si difende Lefebvre. Ma Papa Montini lo incalza: «Lei lo ha detto e lo ha scritto. Sarei un Papa modernista. Applicando un Concilio Ecumenico, io tradirei la Chiesa. Lei comprende che, se fosse così, dovrei dare le dimissioni; ed invitare Lei a prendere il mio posto a dirigere la Chiesa».

Lefebvre: «La crisi della Chiesa c’è».

Paolo VI: «Ne soffriamo profondamente. Lei ha contribuito ad aggravarla, con la sua solenne disubbidienza, colla sua sfida aperta contro il Papa».

Lefebvre: «Non sono giudicato come dovrei».

Paolo VI: «Il Diritto Canonico la giudica. Si è accorto Lei dello scandalo e del male che ha fatto alla Chiesa? Ne è cosciente? Si sentirebbe di andare, così, davanti a Dio? Faccia una diagnosi della situazione, un esame di coscienza e si domandi poi, davanti a Dio: che devo fare?».

Lefebvre: «A me pare che aprendo un po’ il ventaglio delle possibilità di fare oggi quello che si faceva in passato, tutto si aggiusterebbe. Questa sarebbe la soluzione immediata. Come ho detto, io non sono capo di un movimento. Sono pronto a rimanere chiuso per sempre nel mio Seminario. La gente prende contatto con i miei sacerdoti e rimane edificata. Sono giovani che hanno il senso della Chiesa: sono rispettati nella strada, nel metro, dappertutto. Gli altri sacerdoti non portano più l’abito talare, non confessano più, non pregano più. E la gente ha scelto: ecco i preti che vogliamo».

Lo sa il papa, chiede a questo punto l’arcivescovo, che in Francia ci sono «almeno quattordici canoni» usati per la preghiera eucaristica?

Paolo VI risponde: «Non solo quattordici, ma un centinaio. Ci sono abusi; ma è grande il bene portato dal Concilio. Non voglio tutto giustificare; come ho detto sto cercando di correggere là dov’è necessario. Ma è doveroso, in pari tempo, riconoscere che ci sono segni, grazie al Concilio, di vigorosa ripresa spirituale fra i giovani, un aumento di senso di responsabilità fra i fedeli, i sacerdoti, i vescovi».

Lefebvre: «Non dico che tutto sia negativo. Io vorrei collaborare all’edificazione della Chiesa».

Paolo VI: «Ma non è così, di certo, che Lei concorre all’edificazione della Chiesa. Ma è cosciente di quello che fa? È cosciente che va direttamente contro la Chiesa, il Papa, il Concilio Ecumenico? Come può arrogarsi il diritto di giudicare un Concilio? Un Concilio, dopo tutto, i cui atti, in gran parte, sono stati firmati anche da Lei. Preghiamo e riflettiamo, subordinando tutto a Cristo ed alla sua Chiesa. Anch’io rifletterò. Accetto con umiltà i suoi rimproveri. Io sono alla fine della mia vita. La sua severità è per me un’occasione di riflessione…  Son sicuro che anche Lei rifletterà. Lei sa che ho avuto per Lei stima, che ho riconosciuto le sue benemerenze, che ci siamo trovati d’accordo, al Concilio, su molti problemi…».

«È vero», riconosce Lefebvre.

«Lei comprenderà – conclude Paolo VI – che non posso permettere, anche per ragioni che direi “personali”, che Lei si renda colpevole di uno scisma. Faccia una dichiarazione pubblica, con cui siano ritrattate le sue recenti dichiarazioni e i suoi recenti comportamenti, di cui tutti hanno preso notizia come atti posti non per edificare la Chiesa, ma per dividerla e farle del male… Dobbiamo ritrovare l’unione nella preghiera e nella riflessione».

Il colloqui si conclude e monsignor Benelli annota: «Il Santo Padre ha quindi invitato Mons. Lefebvre a recitare con Lui il “Pater Noster”, l’“Ave Maria”, il “Veni Sancte Spiritus”».

Dopo quell’11 settembre non ci saranno altri incontri.

Il 14 settembre, intervistato dalla televisione francese, Lefebvre si mostrerà fiducioso: «Si sta instaurando un nuovo clima, si è rotto il ghiaccio»; e due giorni dopo scriverà al papa per ringraziarlo dell’udienza: «Un punto in comune ci unisce: il desiderio ardente di veder cessare tutti gli abusi che sfigurano la Chiesa».

Ma la distensione non ci sarà. L’11 ottobre Paolo VI risponderà: «Lei parla come se avesse dimenticato le parole e i gesti scandalosi contro la comunione ecclesiale che lei non ha mai ritrattato. Lei non manifesta pentimento neppure per quella che è stata la causa della sua sospensione a divinis Lei non esprime esplicitamente la sua adesione all’autorità del Concilio Vaticano II e della Santa Sede – il che costituisce l’essenza del problema – e prosegue la sua propria opera, che l’autorità legittima le ha espressamente domandato di interrompere».

Come scrive don Christian Thouvenot (La Tradizione Cattolica, n. 2, 2018, pag. 33), con la pubblicazione del libro di padre Sapienza abbiamo ora a disposizione due fonti sull’incontro dell’11 settembre 1976. La prima era costituita dal racconto che lo stesso monsignor Lefebvre fece ai seminaristi di Ecône in due conferenze che furono registrate e sulle quali si basa la ricostruzione fatta da monsignor Tissier de Mallerais nel suo libro Marcel Lefebvre. Une vie.

Il verbale redatto da Benelli, scrive Thouvenot, rispecchia il racconto di Lefebvre nei suoi elementi essenziali, ma c’è una differenza. Il resoconto di Benelli infatti non menziona per nulla il rimprovero che, stando a Lefebvre, Paolo VI avrebbe mosso all’arcivescovo per il giuramento contro il papa che, secondo Montini, veniva richiesto ai seminaristi a Ecône.

Ecco qui di seguito, circa la questione del giuramento, la versione del colloquio riportata da Lefebvre.

Paolo VI: «Lei non ha il diritto di opporsi al Concilio. Lei è uno scandalo per la Chiesa, lei distrugge la Chiesa. È terribile, lei solleva i cristiani contro il Papa e contro il Concilio. Nella sua coscienza non sente nulla che la condanna?».

Monsignor Lefebvre: «Assolutamente no».

Paolo VI: «Lei è un incosciente».

Monsignor Lefebvre: «Io ho la coscienza di continuare la Chiesa. Formo dei buoni sacerdoti…».

Paolo VI: «Non è vero, lei forma dei sacerdoti contro il Papa, lei fa firmare loro un giuramento contro il Papa!».

Monsignor Lefebvre: «Io? Com’è possibile, Santo Padre, che lei mi dica una cosa del genere? Io, far firmare un giuramento contro il Papa! Potrebbe mostrarmi una copia di questo “giuramento”?».

Paolo VI: «Lei condanna il Papa! Che ordine mi dà? Che devo fare? Devo dare le dimissioni, così prenderà il mio posto?».

Secondo Lefebvre, alla notizia che a Ecône non si facevano giuramenti contro il papa, Paolo VI rimase «basito, perché era veramente convinto della verità di questa informazione che, probabilmente, gli era stata data dal cardinale Villot».

Comunque sia, il colloquio dell’11 settembre 1976 non ebbe risultati. Paolo VI sperava in una dichiarazione pubblica con la quale Lefebvre ritrattasse le sue affermazioni contro il Concilio; Lefebvre sperava in un gesto del papa a favore dei cattolici «tradizionalisti». Nessuno dei due ottenne ciò che desiderava.

Aldo Maria Valli

 

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