Le ragioni di una scelta
La libertà non sta nello scegliere tra bianco e nero, ma nel sottrarsi a questa scelta prescritta
Theodor Adorno, Minima moralia. Meditazioni della vita offesa
Non andrò a votare per le Europee e vi dico perché. Ho il massimo rispetto per chi, diversamente dal sottoscritto, andrà a votare. Non demonizzo nessuno e non nutro alcuna animosità verso chi pensa che sia il caso di recarsi alle urne. Semplicemente, la mia scelta è diversa. E lo è per i motivi che dirò subito.
Prima sgombero il campo dalla solita accusa di essere “contro la politica”. Nel mio caso non è vero. La politica mi piace e, in una certa misura, me ne sono sempre occupato. Mi sono laureato in Scienze politiche all’Università Cattolica di Milano quando preside della facoltà (inizio anni Ottanta del secolo scorso) era il politologo Gianfranco Miglio, con il quale ho studiato Scienza della politica e Storia delle dottrine politiche. Ma ho anche fatto politica, fin dall’adolescenza (sì, all’epoca ci cresceva più in fretta).
La politica mi appassiona e, anche quando mi ha riservato cocenti delusioni, non ho mai smesso di seguirla e commentarla. Nella mia decisione di non andare a votare non c’è dunque un generico rifiuto della politica. Non guardo alla politica come a una nemica o a una cosa sporca, rispetto alla quale è meglio estraniarsi. Tutt’altro.
Alcuni mi dicono: ma guarda che se tu non ti interessi di politica è comunque la politica che si interessa a te. Lo so bene. Ma il fatto è che non è vero che io non mi interesso di politica. Anzi, è proprio perché me ne interesso, e la vivo con passione, che sono arrivato alla mia decisione. Non andare a votare non vuol dire sempre e comunque non avere interesse per la politica. Per lo meno, nel mio caso non è così.
Alcuni che, come me, non andranno a votare motivano la loro decisione con il fatto che ormai destra e sinistra sono la stessa cosa (due facce della stessa medaglia globalista) e dunque non c’è una vera possibilità di scelta.
Questa è certamente una ragione ma, per quanto mi riguarda, più in profondità c’è un altro motivo: in coscienza, non riconosco queste istituzioni europee e non assegno loro alcun tipo di legittimazione. Perché in effetti una legittimazione non la possiedono, se non sotto forma di mero patto tra Stati.
Ho sentito che chi non andrà a votare è stato accusato di essere al servizio di oscure forze che vogliono allontanare i cittadini dalle urne così da poter decidere in pochi. Non so a quali oscure forze si faccia riferimento. Posso solo dire che io non sono al servizio di nessuno se non della mia coscienza. Se sbaglio, lo faccio in autonomia, non per conto terzi.
Altri mi dicono: anche se non ti piacciono queste istituzioni europee, vai comunque a votare per i candidati più degni, così che le possano trasformare in meglio.
Ma il punto non è questo. Certamente questa cosa chiamata Unione europea non mi piace per tantissimi motivi, ma, prima ancora, constato che non possiede alcuna legittimità. E, non riconoscendole legittimità, non vedo perché dovrei partecipare al gioco elettorale innescato da questa stessa cosa alla quale, al più, posso riconoscere lo status di accordo intergovernativo.
Certamente nella polis parallela per la quale mi batto ogni giorno, fondata sulla regalità sociale di Cristo, non è possibile scendere a compromessi con un organismo, quale l’Unione europea, che lungi dall’essere una risorsa è nei fatti un mio nemico in quanto apparato politico-burocratico intimamente anti-cristiano e al servizio del globalismo. Ma questo è un secondo aspetto del problema. Il primo, e fondamentale, è che dal punto di vista della sua pretesa costituzione, come scrive Giorgio Agamben [qui] l’Unione europea non ha alcuna legittimità.
So benissimo che non andando a votare non toglierò magicamente di mezzo la Ue con tutto ciò che comporta. E so benissimo che se anche andasse a votare una minoranza il parlamento europeo sarebbe comunque operativo e l’Italia manderebbe comunque a Bruxelles un manipolo di eletti. Le mie ragioni non nascono da questi calcoli. Nascono sul terreno della coscienza, un santuario nel quale nessun partito e nessun politico può pretendere di entrare. I parlamenti sono luoghi che raccolgono i rappresentanti dei cittadini. Ma siccome io non riconosco questo particolare parlamento che è il parlamento europeo, non intendo farmi rappresentare. “Not in my name” potrei dire, se il motto non fosse abusatissimo.
Qualcuno mi dice: “Guarda che non andando a votare fai un dispetto non alla Ue, ma solo a te stesso”. Argomento trito e ritrito, oltre che superficiale. Perché implica che si parta comunque dal riconoscimento dell’istituzione per la quale si è chiamati a votare, mentre io questa legittimazione, in coscienza, non posso e non voglio darla. Perché la cosiddetta Unione europea è una finzione, se non vogliamo dire un raggiro.