Essere bianchi in Sud Africa. La scommessa di restare, nonostante tutto

Il Sud Africa sta vivendo una sorta di terremoto politico. Per la prima volta da quando nel Paese si tengono elezioni libere, l’Anc, l’African National Congress, si è fermato a meno del 50 per cento dei voti. Il presidente Cyril Ramaphosa ha quindi dichiarato che l’Anc cercherà di formare un governo di unità nazionale con i partiti di opposizione.

La decisione era nell’aria dopo il recente risultato elettorale. Ricordiamo che finora l’Anc, il partito che fu di Nelson Mandela, aveva sempre governato da solo.

L’Anc ha ottenuto circa il 40 per cento dei voti, pari a 159 seggi, 42 meno di quelli necessari per avere la maggioranza in parlamento, che conta quattrocento seggi ed elegge il presidente del paese. Da anni l’Anc sta vivendo una crisi. Si pensi che nel 2004, l’anno del suo risultato migliore, aveva ottenuto il 76% dei consensi.

Le difficoltà dell’Anc nascono dall’incapacità di affrontare i crescenti problemi del paese: in primo luogo criminalità, corruzione, economia e fornitura di servizi ai cittadini.

Il secondo partito più votato (21,8%) è stato Alleanza Democratica, di ispirazione liberista, sostenuto soprattutto dalla minoranza bianca.

Il terzo partito, con il 14,6%, è uMkhonto weSizwe (Lancia della nazione) partito personale dell’ex presidente Jacob Zuma, espulso mesi fa dall’Anc.

Ora il presidente Ramaphosa, in carica dal 2018, ha proposto a tutti i partiti di opposizione di entrare a far parte del governo di unità nazionale. Diversi politici di opposizione però hanno già escluso la possibilità di governare con l’Anc. La data limite per un accordo è il 16 giugno, quando il nuovo parlamento dovrà riunirsi per eleggere il presidente. In caso di mancato accordo bisognerà andare a nuove elezioni.

In questo quadro, vi propongo la traduzione di un’intervista a Ernst Roets, responsabile politico del movimento Solidarity, rete di organizzazioni cristiano-conservatrici di lingua afrikaner che ha l’obiettivo di garantire un futuro alla comunità bianca in Sud Africa. Mi sembra un punto di vista interessante perché raramente si parla dei problemi della minoranza bianca. L’intervista è stata rilasciata prima che si venisse a conoscenza degli ultimi risultati elettorali.

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Ernst Roets, qual è la situazione attuale in Sud Africa?

In Sud Africa siamo alle prese con alcuni problemi seri. Si dividono in due, forse tre categorie. Primo: il governo sta fallendo a ogni livello immaginabile. Stiamo parlando di criminalità, economia, servizi, infrastrutture: tutto. Secondo: mediante i media, le università e così via c’è la promozione di una cultura woke, di sinistra, inculcata agli studenti e alle persone che vengono indottrinate. La terza categoria di problemi nasce dall’unione delle prime due: parlo di illegalità e criminalità. Ricordo che il tasso di omicidi in Sud Africa è altissimo, con molti crimini nelle fattorie e violenza legata alle bande. L’illegalità generalizzata sta diventando un grosso problema.

Sappiamo che spesso in Sud Africa gli agricoltori bianchi vengono presi di mira. Molti sostengono che contro di loro la violenza si scatena non perché sono bianchi, ma perché sono ricchi. Che cosa ne pensa?

Certo, gli agricoltori sono datori di lavoro, hanno soldi e c’è la convinzione diffusa che, se uccidi un contadino, in casa sua troverai una cassaforte con molti contanti. Alcuni agricoltori, effettivamente, dispongono di parecchio denaro e i ladri lo sanno. Ma questa è una spiegazione molto semplicistica e unidimensionale che non tiene conto della realtà del Sud Africa, incluso il fatto che molti di questi agricoltori vengono non solo rapinati, ma uccisi dopo lunghe torture. Se tu vai lì solo per i soldi, perché torturare atrocemente? La verità è che gli aggressori spesso scandiscono slogan politici. In un caso, hanno scritto “uccidi il boero” su un muro con il sangue della vittima. E le torture sono indicibili: strangolamento, smembramento, taglio di parti del corpo, occhi cavati, lingua tagliata. Ci sono stati agricoltori bruciati con l’acqua bollente e ferri da stiro. Dunque, se si dice che questi agricoltori vengono uccisi solo a scopo di rapina non si spiega il perché di tanta violenza.

Gli slogan politici degli assassini sono gli stessi spesso usati durante le manifestazioni di alcuni partiti. Quale ritiene sia la direzione politica di Julius Sello Malema [politico sudafricano, parlamentare, fondatore e leader del partito Economic Freedom Fighters, più volte condannato per incitamento all’odio, anche per aver cantato Uccidi il boero, N.d.R.]? Pensa che questa ideologia si stia diffondendo?

Malema è molto conosciuto e, in un certo senso, anche molto influente. La buona notizia è che il suo partito sembra essere in fase di stagnazione, al 12% circa. Il partito è più seguito dalla stampa che dalla gente, il che crea la sensazione che abbia più consensi di quelli che in effetti ha. Resta un partito marginale, e non sembra che cresca. C’è da dire che molti neri sudafricani lo detestano perché troppo radicale. La cattiva notizia è che l’Anc, l’African National Congress, principale partito politico sudafricano, anch’esso radicale, di sinistra e nazionalista nero, ma non così radicale come quello di Malema, sta perdendo sostegno. Ha sempre avuto circa il 60% o più dei consensi, ma secondo gli ultimi sondaggi sembra che alle prossime elezioni potrebbe scendere al di sotto del 50% [in effetti, come detto, è successo, N.d.T:]. Di per sé il calo è positivo, se non fosse che la crisi dell’Anc apre la porta a una possibile coalizione con il partito di Malema. E se ciò accadesse, Malema probabilmente diventerebbe ministro, forse anche vicepresidente (e sono sicuro che è quello che vuole). L’Eff una volta stava all’interno dell’Anc. Se i due partiti si unissero, avremmo uno scenario davvero inquietante.

In Sudafrica alcune leggi consentono l’auto-organizzazione dei gruppi in spazi sovrani. Così abbiamo Orania [comunità nella provincia del Capo Settentrionale, nata negli anni Novanta come piccolo volkstaat, stato boero autogovernato, N.d.T.], che è esclusivamente afrikaner. Si tratta di un modello che potrà essere replicato in altre parti del Sud Africa?

Sì e no. Tecnicamente, in realtà, non c’è una legge che dice che si possa fare. Abbiamo quindi una realtà de facto diversa da quella de jure. Spesso pensiamo che la realtà de jure, la legge, determini la realtà de facto, ma nel caso di Orania è avvenuto il contrario. Ora è una comunità di tremila abitanti, con un tasso di crescita del 12% al mese. Sono molto impegnati a diventare una città e penso che ci riusciranno. È l’unica città in tutto il Sud Africa che abbia una prospettiva futura di sostenibilità a lungo termine. Triste dirlo, ma ormai è una realtà e il governo non può ignorarla. Non possono chiudere la città, non possono intervenire con la polizia e cacciare tremila persone. Possono provarci, ma fortunatamente il governo sudafricano è tanto estremista nella sua ideologia quanto inefficiente nell’attuazione delle sue idee. Inoltre, abbiamo molti villaggi simili per diverse comunità tribali africane: in Sud Africa ci sono città Zulu, città Khoisa e città Swazi. Ma la cosa divertente è un’altra: gli stessi media secondo i quali non c’è niente di controverso nell’avere una comunità Zulu tradizionale, quando la comunità tradizionale è afrikaans la dipingono come una “enclave bianca, una città per soli bianchi estremisti”. Un tipico caso di doppio standard. Nelson Mandela andò a Orania e riconobbe l’importanza della comunità afrikaner al fine di avere una comunità culturale e una qualche forma di casa comune. Da questo punto di vista è moralmente accettabile. Se invece si sta dalla parte della narrativa mainstream, allora diventa politicamente scorretta e razzista.

Supponiamo che questa comunità diventi una città e a un certo punto raggiunga la quota di venti, trenta, quarantamila abitanti. Cosa le impedirebbe a quel punto di diventare come tutte le altre città sudafricane che si sono deteriorate negli ultimi decenni? L’enorme bacino di poveri dell’Africa vorrà trasferirsi lì, non è vero?

Beh, tanto per cominciare, l’intera città è costruita su una proprietà privata, quindi è sorta di azienda. Il che determina un controllo su chi arriva. Ma è importante sottolineare che la selezione non avviene in termini di razza, bensì di cultura. È una comunità culturale, non una comunità razziale. Quindi se vai lì e dici di essere bianco ma di non capire la cultura afrikaner, di non sentirla come la tua cultura, è assai probabile che non ti sia permesso di abitarci.

La violenza è un vero problema in Sud Africa, e in gran parte è violenza politica. Ci sono stati molti omicidi di politici, al punto che il New York Times ha dedicato un’inchiesta a questa diffusa tendenza. Ora, se c’è chi è pronto a uccidere per motivi politici, cosa può impedire loro di truccare le elezioni e gonfiare i dati elettorali?

Ottima domanda. Gli omicidi politici sono un grosso problema in Sud Africa, ma a livello di governo locale più che nazionale, soprattutto nella provincia del KwaZulu-Natal, nella parte orientale del Sudafrica. Lì questo tipo di violenza è così comune che non fa nemmeno più notizia che i rivali politici si uccidano a vicenda o che i consulenti vengano assassinati. Penso che quelli dell’Anc certamente imbroglierebbero, se potessero, pur di restare al potere, come è successo nello Zimbabwe, dove tutti sanno che le elezioni sono truccate. Ma non penso che le elezioni in Sud Africa siano state molto truccate fino a oggi, tranne, ironicamente, quelle del 1994. È generalmente risaputo che la cattiva amministrazione era così diffusa che non riuscivano neppure a stabilire chi avesse vinto. Quindi ci fu un accordo tra le parti su quale doveva essere il risultato. E per ironia della sorte queste furono le prime elezioni nazionali democratiche in Africa! Quindi, ripeto, non penso che oggi sia un grosso problema, ma certamente il rischio c’è.

Cosa trattiene i bianchi in Sud Africa? Capisco che probabilmente siano attaccati alla loro terra e alla loro cultura, ma fino a quando queste ragioni saranno sufficienti? Ci sono stati alcuni sforzi per arrivare a equipararli a rifugiati, ma quali opzioni hanno davvero? Possono davvero andarsene, se lo desiderano?

Domanda importante. Noi afrikaner, o boeri, discendiamo soprattutto dagli olandesi, ma anche dai tedeschi e dai francesi. E culturalmente siamo stati molto influenzati dagli inglesi. Ma ciò che ci rende unici è che abbiamo sviluppato la nostra lingua, la nostra identità, la nostra cultura e la nostra tradizione in Sud Africa, e l’Africa e il Sud Africa fanno parte di ciò che siamo. Andarsene significherebbe lasciare indietro una parte di ciò che siamo. Da quando i problemi hanno iniziato a manifestarsi, centinaia di migliaia di persone, se non milioni, se ne sono effettivamente andate, ma molti non se ne vanno perché semplicemente non possono permetterselo. Poi ci sono quelli che non se ne vanno perché siamo molto testardi! In più, andare via sarebbe visto come un tradimento dei propri antenati e dei loro sacrifici. Ma c’è anche chi resta qui perché vuole avere un futuro in Sud Africa. Sappiamo che l’erba da un’altra parte sembra sempre più verde, ma sta diventando abbastanza chiaro che venire in Europa, per esempio, non significherebbe necessariamente arrivare in un luogo sicuro o prospero. E questo è qualcosa che ci motiva davvero a dire: “Bene, lavoriamo per una soluzione in Sud Africa”. Abbiamo fatto un sondaggio tra i nostri membri, chiedendo loro: “Siete ottimisti o pessimisti riguardo agli Stati Uniti, all’Europa e al Sud Africa?”. Si è scoperto che siamo meno pessimisti riguardo al Sudafrica che all’Europa e agli Usa. Gli afrikaner in effetti sono più preoccupati per l’Europa e l’America che per il nostro Paese. Certo, non pensano che in Sud Africa le cose vadano bene, ma vedono che in Europa e Stati Uniti c’è una spirale negativa. Inoltre stiamo riscoprendo l’importanza del coinvolgimento nella comunità e nelle istituzioni comunitarie. Stiamo costruendo università, scuole, chiese. E questo è qualcosa che dà speranza a tutti.

Fonte: rmx.news

Nella foto, cartello di ingresso a Orania e alcuni abitanti con la bandiera della comunità

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