Rinuncia di Ratzinger, conclave del 2013, pontificato di Francesco, situazione attuale. “Duc in altum” a cuore sempre più aperto
Cari amici di Duc in altum, dopo il mio articolo Rinuncia di Benedetto XVI, elezione di Bergoglio, attacco a Pietro. Da “Duc in altum” a cuore aperto [qui] mi avete scritto in tanti a blogducinaltum@gmail.com.
Ringrazio di cuore e chiedo scusa se non riesco a rispondere a tutti i messaggi. Sappiate però che li leggo e ne tengo conto.
Quanto ai contenuti dei messaggi, direi che si dividono in due scuole di pensiero.
Da un lato c’è chi mi scrive che la rinuncia di Benedetto XVI è valida, che valida è dunque anche l’elezione di Francesco, che i problemi non sono certamente iniziati con Bergoglio e che è inutile, se non dannoso, continuare a lambiccarsi il cervello in proposito. Bisogna solo accettare la realtà per quella che è, con fiducia nel disegno provvidenziale del buon Dio, anche se umanamente tutto ciò ci fa soffrire.
Dall’altro lato c’è chi si complimenta con il sottoscritto per aver finalmente contestato la validità della rinuncia, e dunque dell’elezione di Francesco che ne è seguita, e per aver preso atto che Roma è di fatto senza papa.
Poi, all’interno di questa seconda categoria, c’è chi mi chiede di fare l’ultimo passo: riconoscere che Ratzinger, sotto pressione, ha elaborato un piano per ritirarsi in sede impedita, come papa prigioniero, mettendo così in fuorigioco il successore.
Avendo conosciuto Ratzinger, e conoscendo il suo modo di ragionare, dico che quest’ultima ipotesi, quella del papa che si è auto-collocato in sede impedita, mi sembra fantasiosa. E poi perché avrebbe dovuto mettere in fuorigioco il successore visto che lui era convinto che il conclave nato dalla sua rinuncia avrebbe eletto il cardinale Scola, suo allievo in campo teologico e uomo del quale si fidava?
Quel che penso è che Ratzinger si dimise perché era stanco e non ce la faceva più. L’insonnia era diventata insopportabile, i farmaci di cui era imbottito avevano perso efficacia e lui non riuscì a vedere una via d’uscita diversa. Ma qui fece un grave errore. Anziché ritirarsi in preghiera, spogliarsi della veste bianca e sparire del tutto, pretese di restare papa emerito, inventando una figura inedita e anche impossibile, perché Pietro è uno e il suo mandato non può essere condiviso. Da quell’errore è nata una gran confusione, come è ben documentato dalla cronaca dei dieci anni trascorsi da Ratzinger in Vaticano in qualità di emerito, anni in cui ha continuato a vestirsi di bianco e a farsi chiamare e a firmare lettere come papa.
C’è chi dice: non di errore si trattò, ma di calcolo, una mossa astutissima. Fu a ragion veduta, si sostiene, che Benedetto XVI rinunciò solo al ministerium, l’esercizio del papato, e non al munus, il suo essere papa. Era stato minacciato, addirittura di morte. Se si fosse spogliato della veste bianca e la rinuncia avesse determinato la sua sparizione in qualche remoto e sconosciuto monastero, il conclave successivo sarebbe stato valido. Invece, grazie alla genialata del papato emerito, mise in fuori gioco il successore, che è quindi illegittimo.
Ora, lo ripeto. Tutto questo piano non appartiene proprio alla forma mentis di Ratzinger. È davvero troppo contorto per essere stato partorito da un teologo il cui pensiero procedeva in modo rettilineo. E allora? Allora, semplicemente, a mio modesto avviso Ratzinger non se la sentì di compiere il passo della rinuncia nella sua completezza. Fece, per così dire, un mezzo passo. E anziché sparire, come morto, pretese di stare con un piede ancora all’interno del perimetro del papato, con un ruolo da lui stesso inventato ma del tutto incongruo da ogni punto di vista.
Sui motivi di questo errore si possono fare tutte le ipotesi possibili. Probabile che agì così per una sorta di senso di colpa. Sapendo che stava scendendo dalla croce, cercò di limitare i danni e di rendere la cosa più accettabile, prima di tutto a sé stesso. E qui sì che riconosco il carattere di Ratzinger. In ogni caso, errore resta, con tutte le conseguenze che ha portato con sé. Ed è qui che nasce l’invalidità della rinuncia. Non dunque da una furbata per mettere in fuorigioco il successore, ma da una pretesa impossibile. Se vogliamo, da una debolezza di Ratzinger.
Se dunque ipotizziamo che la rinuncia sia invalida, diventano invalidi anche il conclave che ne è seguito e il papa che ne è uscito. E qui si colloca la mia riflessione di semplice cattolico. Se nel 2013, all’indomani dell’elezione di Bergoglio, tutte queste idee potevano frullarmi in testa senza agganci concreti alla realtà, ora, a distanza, non posso non vedere che Bergoglio si è dimostrato così distruttivo per la Chiesa e così dannoso per la fede (dunque per la salvezza delle anime) da farmi porre domande sempre più radicali. Siamo di fronte a un Pietro che sta sbagliando o a un falso Pietro? Un Pietro solo un po’ ambiguo, superficiale e confusionario o un anti-Pietro?
Come ben sapete, non è certamente da oggi che giudico questo pontificato una sciagura. Il mio saggio 266 è del 2016 e il mio articolo Roma senza papa. C’è Bergoglio. Non c’è Pietro è del 2021. Mi limito a questi due testi ma ne potrei citare a decine. Oggi però, in questo giugno (mese del Sacro Cuore di Gesù) del 2024, dopo che il Vaticano ha prodotto un documento sul Vescovo di Roma in cui la potestà di Pietro viene sottomessa alle categorie dell’ecumenismo e della sinodalità [ne ho parlato qui], abbiamo un Pietro che mangia Pietro. Un Pietro che scredita e disonora sé stesso. Un fatto talmente enorme e sconvolgente che dovrebbe immediatamente provocare la reazione di ogni battezzato. E mi chiedo come sia possibile invece che tanti cattolici non reagiscano.
Un caro amico del blog, temendo che il sottoscritto sia diventato sedevacantista, mi scrive: “Caro Aldo Maria, per favore, resta lucido. È difficile, perché siamo circondati dalla follia, ma quanto mai necessario. Bergoglio è papa. Pessimo papa, ma papa. La demolizione del papato non è incominciata certamente nel 2013. Dal Concilio Vaticano II in poi, nessun papa è esente da colpe. Non devo certo essere io a ricordarti le enormi responsabilità di Giovanni Paolo II, che su questioni cruciali come l’ecumenismo e il dialogo interreligioso si è completamente perso per strada. E, guarda caso, il farneticante documento vaticano sul Vescovo di Roma parte proprio dai presupposti ecumenici di Ut unum sint, l’enciclica di Giovanni Paolo II. E Ratzinger, superfluo rimarcarlo, ha proseguito coerentemente l’opera di depotenziamento del papato nel contesto delirante della sedicente unità dei cristiani. Una supercazzola, per non dire di peggio. Mio caro Valli, Bergoglio e la sua banda di tirapiedi stanno solo mettendo i chiodi sulla bara, ma non sono certo loro gli assassini”.
È ciò che ho sempre pensato, e l’ho scritto ripetutamente. Bergoglio è solo l’ultimo anello di una catena. Ma ora, di fronte a questo fatto nuovo e sconvolgente di Pietro che mangia Pietro, di questo documento vaticano che esce allo scoperto con il progetto di far fuori Pietro dall’interno, mi chiedo se per caso Bergoglio, a questo punto, non si sia svelato per quel che è: un antipapa. E se, sulla base dei fatti, Bergoglio si rivela un antipapa (uso il prefisso “anti” nel senso letterale di opposizione, contrapposizione ma anche inversione), allora occorre rileggere tutta la vicenda di questo pontificato a ritroso, fino all’elezione di Francesco e alla rinuncia di Benedetto XVI da cui essa è scaturita. E, così facendo, un semplice cattolico come me non può non vedere che tutto si dipana logicamente, a partire da una debolezza di Pietro, fino allo sfacelo odierno.
Sono diventato sedevacantista? Non lo so. Forse lo sto diventando solo per quanto riguarda l’attuale pontificato. Comunque metterei da parte le etichette. Ne abbiamo già troppe e spesso non aiutano il ragionamento.
Voi mi direte: ma perché il buon Dio ci avrebbe messo nella situazione in cui ci troviamo? Misteriosi sono i disegni divini. Forse il buon Dio, che sempre e comunque vuole il nostro bene, ci sta mettendo alla prova, per verificare se siamo svegli o addormentati. Un esame che, per essere efficace, poteva avvenire solo mediante uno choc, un’autentica scossa. E infatti stiamo vedendo che la scossa ha portato e sta portando tanti fedeli a interrogarsi, ad aprire gli occhi e a riscoprire ciò che è davvero fondamentale per la fede e per la salvezza. In questo senso la realtà nella quale siamo immersi da quel fatidico 2013, anche se umanamente ci fa soffrire (l’ho definita un horror) è altamente provvidenziale. Dio ci sta passando al setaccio. Ed è chiaro che conta sugli svegli. (Scusatemi se mi esprimo così. Lo faccio solo per desiderio di chiarezza. E mi perdoni il buon Dio).
Si troverà mai un pugno di cardinali in grado di dichiarare Bergoglio, in base a fatti incontrovertibili, un antipapa, annullando così tutto il suo antimagistero? Ovviamente non lo so. Ma il fatto che ci troviamo qui a discuterne costituisce, mi sembra, un altro passo della verifica in corso.
L’eccezionalità della situazione non ci deve spaventare. Anzi, la verifica, per essere efficace, ha bisogno di essere vissuta in stato di emergenza, perché è proprio la consapevolezza della situazione di pericolo e della posta in gioco che ci dà l’energia necessaria per affrontare, con caparbietà e perfino con ostinatezza, un esame che, altrimenti, eviteremmo volentieri.
Grazie per la pazienza. Comunque la pensiate, vi voglio bene. E adesso forse è meglio che me ne stia un po’ zitto.