Ancora su Bergoglio e la questione del papa eretico

Caro Valli,

sento la necessità di rispondere al suo articolo Bergoglio l’ideologo che sovverte la realtà. E ci spinge nel ginepraio del papa eretico [qui]. Condivido molte delle sue preoccupazioni e, come lei, non sono pienamente convinto da coloro che proclamano che siamo in sede impedita, vacante o altre varianti. A mio modesto parere, sono tentativi della nostra ragione di classificare eventi inclassificabili sotto ogni punto di vista: canonico, teologico, escatologico. Ma la realtà che abbiamo di fronte agli occhi è questa, e dobbiamo accettarla per quanto tragica e irrazionale sia, senza necessariamente incasellarla dal punto di vista legale.

Per questo motivo, condivido più l’approccio della risposta di Battiston [qui], ma vorrei aggiungere qualche mia considerazione o, se preferisce, dire come ho iniziato a razionalizzare la questione: andando a leggere e rileggere il vecchio Catechismo, in particolare l’articolo 7, ai punti 675,676,677: “Prima della venuta di Cristo, la Chiesa deve passare attraverso una prova finale che scuoterà la fede di molti credenti. La persecuzione che accompagna il suo pellegrinaggio sulla terra svelerà il mistero di iniquità”. E più avanti: “La Chiesa non entrerà nella gloria del Regno che attraverso quest’ultima Pasqua, nella quale seguirà il suo Signore nella sua morte e risurrezione.”

Come osserva giustamente Battiston, il papa non è l’unico problema, c’è da includere il drastico calo di vocazioni, ordini religiosi e parrocchie che chiudono, l’emorragia dei fedeli soprattutto tra i giovani, in un quadro geopolitico mondiale che sta progressivamente peggiorando mentre l’Occidente, di cui la Chiesa cattolica è sempre stata l’anima, sta declinando e involvendo, soprattutto quanto a valori: la Chiesa sta morendo e, come scrive il Catechismo stesso, dovrà morire.

Non necessariamente siamo agli ultimi tempi, come spiegato anche al punto 676, e questa chiesa inclusiva, che somiglia molto a come viene descritta l’impostura del “mistero d’iniquità”, non è forse un’altra forma di messianismo? Ma anche fosse, qualcuno ha forse detto che gli ultimi tempi devono essere un cataclisma della durata di una notte? Non può forse essere un lungo e buio intermezzo di cui vediamo i prodromi, noi testimoni attoniti e impotenti? Alla fine del 677: “Il Regno non si compirà dunque attraverso un trionfo storico della Chiesa […], ma attraverso una vittoria di Dio sullo scatenarsi ultimo del male, che farà discendere dal cielo la sua Sposa.”

Comunque sia, quello che stiamo soffrendo per la Chiesa è scritto a chiare lettere, e noi non possiamo far altro che perseverare nella fede che ci è stata insegnata, conservare quello che abbiamo e, nella nostra vita di fede quotidiana, in questa temperie, fare molta attenzione a riconoscere i cattivi maestri dai santi sacerdoti che ancora esistono. Questa è la “prova” cui siamo sottoposti.

Gianluca Costagliola

*

Egregio Aldo Maria Valli,

secondo quanto ha pubblicato [qui], dagli ultimi tre capoversi del suo editoriale si può ricavare che la sua razionalità le dice una cosa (forse la rinuncia di Benedetto XVI…), mentre subito dopo la sua emotività gliene dice un’altra chiudendo qualunque discussione (Bergoglio è Pietro!).

Se questo dissidio interiore fosse presente è fuorviante la sua speranza di chiarimenti (“sarebbe bello se i più esperti volessero fornire risposte usando la misericordia di parlare in modo comprensibile”), infatti non starebbe cercando spiegazioni razionali (dopo dodici anni le avrebbe già trovate da solo), ma starebbe cercando un convincimento emotivo.

Ha anche fatto capire cosa le fornirebbe questo convincimento: l’autorità! Infatti ha continuamente scritto: “Chi può decretare che Bergoglio non ha la grazia di stato?”; “arrivare a una decretazione è ben altro”; “occorre che ci sia una presa di posizione legale, una sentenza”; “chi può avere l’autorità di emettere una sentenza nei confronti del Papa”; “da parte di chi? e con quale autorità vincolante?”. Insomma autorità, autorità, autorità.

Inoltre sembra (non dica subito che non è vero) che l’autorità con la sua decretazione sia (emotivamente) “meglio” di Dio, del quale invece (sempre emotivamente) dice: “Possibile che il buon Dio ci lasci in questa condizione? Come può esserci un disegno buono per noi?”.

Infine, guai a minare l’autorevolezza delle varie autorità: “E poi così non c’è forse il rischio di far perdere prestigio e credibilità al papato in quanto istituzione?”. Sia mai anche il solo correre questo rischio.

Comunque, nonostante la sua attuale pubblica dichiarazione di speranza razionale nei più esperti, la sua parte emotiva sa benissimo che l’autorità del conclave ha già stabilito, decretato e sentenziato che Bergoglio è Pietro. Punto. Ugualmente sa benissimo che quasi tutti i singoli cardinali e i vescovi (e rispettive autorità individuali) hanno condiviso tutti i documenti, le iniziative interreligiose e perfino interrituali con la Pachamama e con lo sciamano canadese. Dall’altra parte, sempre la sua parte emotiva come minimo sospetta che le pochissime autorità delle lettere dei dubia siano purtroppo scismatiche da Pietro. Perciò alla fine può rendersi conto di come il suo riconoscimento razionale delle tante bergogliate è completamente impotente rispetto alla sua fiducia emotiva nelle molteplici autorità ecclesiastiche che ribadiscono continuamente Bergoglio nella sua autorità petrina.

Secondo quanto ha pubblicato (se non era un messaggio inconsapevole rivolto alle autorità) mi dà l’impressione di quelle persone che da una parte sanno tutto, ma dall’altra hanno la sensazione di sapere nulla, perché sempre in attesa che un’autorità finalmente decida la soluzione desiderata. Mi sembra che ponga al di sopra del Vero, del Bello, del Buono e del Giusto il superdogma del Concilio di Trento della superobbedienza alle autorità. Perciò quando ha scritto del “solito avvitamento, che ormai ci accompagna da tempo” ha parlato di sé stesso più che degli altri in quanto, come si ricava proprio dal suo editoriale, lei è in grado di trovare sistematicamente un difetto castrante a ogni suggerimento e ipotesi razionali pur di non mettere in crisi la sua emotiva speranza nell’autorità.

Alla fine, inevitabilmente, come ha seguito gli uomini nell’al di qui, così li seguirà anche nell’aldilà, perché si illude che affermare pubblicamente la sua non-separazione da Pietro non significhi pure la sua non-separazione, non-distinzione, non-dissociazione di fatto dai suoi “errori e assurdità”.

Chiaramente, come detto, anche dopo dodici anni dalla Declaratio lei può benissimo essere una persona fortemente indecisa, con un piede sull’acceleratore e uno su freno, ma diversamente (poiché ha concluso: “Non riesco a sentirmi separato da Pietro. Non posso”) potrebbe anche essere, inconsapevolmente, una persona preoccupata di dichiarare alle autorità ecclesiastiche la sua difesa dell’autorità anche a costo di qualunque eresia.

Sono stato un po’ crudo, spero di non esserlo stato troppo.

Mark Voice

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