“Dilexit nos”. Così Francesco torna al Cuore

“Rivolgo il mio sguardo al Cuore di Cristo e invito a rinnovare la sua devozione. Spero che possa essere attraente anche per la sensibilità di oggi”.

Scrive così Francesco nella Dilexit nos, la sua quarta enciclica (proposta nel 350° anniversario della prima rivelazione del Sacro Cuore a santa Margherita Maria Alacoque), nella quale illustra storia e attualità del pensiero “sull’amore umano e divino del cuore di Gesù Cristo” e invita a rinnovare questa devozione. Tre gli obiettivi di fondo: sottolineare la tenerezza del rapporto di fede, recuperare la gioia di mettersi al servizio e ridare slancio alla missione.

Nel Cuore di Cristo “possiamo trovare tutto il Vangelo”. Inoltre “riconosciamo finalmente noi stessi e impariamo ad amare”. Così, nell’incontro con l’amore di nostro Signore, “diventiamo capaci di tessere legami fraterni, di riconoscere la dignità di ogni essere umano e di prenderci cura insieme della nostra casa comune”.

Francesco lo dichiara: il suo auspicio è che il mondo, “che sopravvive tra le guerre, gli squilibri socioeconomici, il consumismo e l’uso anti-umano della tecnologia, possa recuperare ciò che è più importante e necessario: il cuore”.

Articolata in una introduzione, cinque capitoli e una conclusione, l’enciclica raccoglie “le preziose riflessioni di testi magisteriali precedenti e di una lunga storia che risale alle Sacre Scritture, per riproporre oggi, a tutta la Chiesa, questo culto carico di bellezza spirituale”.

Il primo capitolo, “L’importanza del cuore” (sinceramente, quello che mi ha convinto di meno, perché segnato da una certa genericità), si concentra sul perché occorre “ritornare al cuore” in un mondo nel quale siamo tentati di “diventare consumisti insaziabili e schiavi degli ingranaggi di un mercato” È il cuore “che unisce i frammenti” e rende possibile “qualsiasi legame autentico, perché una relazione che non è costruita con il cuore è incapace di superare la frammentazione dell’individualismo”. Il mondo può cambiare “a partire dal cuore”.

Il secondo capitolo ripercorre gesti e parole d’amore di Cristo, mentre nel terzo, “Questo è il cuore che ha tanto amato”, spiegando come la Chiesa abbia meditato “sul santo mistero del Cuore del Signore”, il papa sottolinea che “la devozione al Cuore di Cristo è essenziale per la nostra vita cristiana in quanto significa l’apertura piena di fede e di adorazione al mistero dell’amore divino e umano del Signore, tanto che possiamo affermare ancora una volta che il Sacro Cuore è una sintesi del Vangelo”. Ecco così l’invito a rinnovare la devozione al Cuore di Cristo, per contrastare “nuove manifestazioni di una spiritualità senza carne che si moltiplicano nella società”.

Rivolto alla Chiesa, il papa dice che davanti a “comunità e pastori concentrati solo su attività esterne, riforme strutturali prive di Vangelo, organizzazioni ossessive, progetti mondani, riflessioni secolarizzate, su varie proposte presentate come requisiti che a volte si pretende di imporre a tutti” è necessario tornare alla “sintesi incarnata del Vangelo”

Negli ultimi due capitoli, Francesco illustra i due aspetti che “la devozione al Sacro Cuore dovrebbe tenere uniti per continuare a nutrirci e ad avvicinarci al Vangelo”. Da un lato “l’esperienza spirituale personale”, dall’altro “l’impegno comunitario e missionario”.

Nel capitolo intitolato “L’amore che dà da bere” Francesco, proponendo i riferimenti al Cuore di Gesù contenuti nelle Sacre Scritture, ricorda che i Padri della Chiesa hanno menzionato “la ferita del costato di Gesù come origine dell’acqua dello Spirito”. Tra loro spicca sant’Agostino, che “ha aperto la strada alla devozione al Sacro Cuore come luogo di incontro personale con il Signore”. Lungo l’elenco dei devoti illustri: san Francesco di Sales, santa Margherita Maria Alacoque, santa Teresa di Lisieux, santa Faustina Kowalska, san Giovanni Paolo II.

L’ultimo capitolo, “Amore per amore”, si concentra sulla dimensione comunitaria, sociale e missionaria della devozione al Cuore di Cristo: essa infatti nel momento stesso in cui “ci conduce al Padre, ci invia ai fratelli”. Non dobbiamo dimenticare che l’amore per i fratelli è il “gesto più grande che possiamo offrirgli per ricambiare amore per amore”, come ha testimoniato, tra gli altri, san Charles de Foucauld.

Il testo si conclude con una preghiera di Francesco: “Prego il Signore Gesù che dal suo Cuore santo scorrano per tutti noi fiumi di acqua viva per guarire le ferite che ci infliggiamo, per rafforzare la nostra capacità di amare e servire, per spingerci a imparare a camminare insieme verso un mondo giusto, solidale e fraterno. Questo fino a quando celebreremo felicemente uniti il banchetto del Regno celeste. Lì ci sarà Cristo risorto, che armonizzerà tutte le nostre differenze con la luce che sgorga incessantemente dal suo Cuore aperto. Che sia sempre benedetto!”.

Francesco ricorda che il Cuore di Cristo ci aspetta incondizionatamente, senza richiedere prerequisiti. Attraverso il Sacro Cuore conosciamo l’amore che Dio ha per noi (1 Gv 4,16).

Non manca nella riflessione di Francesco una critica alla svalutazione del cuore nella filosofia contemporanea, che privilegia ragione e volontà. Sviluppando questa critica il testo rischia di scivolare a tratti in forme di sentimentalismo, ma certamente apprezzabile è un’enciclica finalmente centrata su Gesù. Con questo documento Francesco è tornato al Cuore.

 

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