Caro Aurelio…
Caro Aurelio,
ho detto e scritto tante volte, fino alla noia, che il pontificato di Francesco non è la causa dei mali della Chiesa, ma una conseguenza di decenni di deviazioni e tradimenti. Con me, dunque, sfondi una porta a aperta. Tuttavia è impossibile non constatare che con Francesco il modernismo (installatosi stabilmente ai vertici della Chiesa ben prima di lui) è entrato in una stagione nuova. Mentre i pontificati di Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI furono caratterizzati dalla compresenza di accelerazioni e frenate, Francesco, pur avendo dato di tanto in tanto qualche colpetto al freno, ha imboccato a tutta velocità la strada che sta portando la Chiesa a essere nulla più che una stampella del pensiero umanitarista globale tanto caro alle massonerie. In più, Francesco ha abbassato incredibilmente la qualità della riflessione.
Come stupirsi che due poveri cattolici come noi, pur con tutti i nostri limiti, si sentano sradicati (per usare il titolo di un nostro libro)?
Tuttavia, anche in queste condizioni, o forse soprattutto in queste condizioni, il buon Dio non smette di inviarci segni. E li dobbiamo cogliere.
Nel mondo sono in costante crescita i fedeli che vanno alla messa vetus ordo, e tra loro ci sono moltissime famiglie giovani. La questione non è solo formale. L’accostarsi alla liturgia tradizionale esprime un forte bisogno di sacralità. Anche la recente ricerca che la Conferenza episcopale italiana ha commissionato al Censis mostra un dato significativo: i cattolici italiani, pur ampiamente secolarizzati (per non dire paganizzati) iniziano a nutrire una certa nostalgia per i “bei riti di un tempo”. Magari questi cattolici non sanno nulla della messa antica, ma nel loro cuore si fa strada una consapevolezza: troppe innovazioni e troppe stranezze moderniste hanno deturpato e snaturato non solo la liturgia, ma il volto stesso di Cristo.
In terra ambrosiana, dove vivo, la benedizione delle case avviene in periodo di Avvento e qualche giorno fa da noi è arrivato il signor prevosto. Sono stato contento di vederlo in talare nera, con una bella stola sacerdotale, e non in giacca a vento e scarpe da tennis. Direte che guardo alle cose superficiali. No, semplicemente trovo giusto marcare la differenza. Il sacerdote non è e non deve essere un uomo come tutti gli altri. E quando va in una casa per benedire una famiglia non sta compiendo una visita di cortesia, ma è lì in persona Christi.
Sono stato contento anche quando il signor prevosto, al momento di benedire, ha usato un aspersorio che aveva con sé. Peccato non fosse accompagnato da un chierichetto con il secchiello, come succedeva ancora qualche anno fa.
Certo, quando abbiamo recitato il Padre nostro ho avvertito una punta di amarezza, perché il signor prevosto ha usato la forma riformata, mentre mia moglie e io lo abbiamo detto “vecchio stile”. Un’occasione in più per lodare il Signore e chiedere perdono dei nostri peccati.
Pur senza censurarmi, cerco nel mio piccolo, e con tutti i miei difetti, di non esasperare frizioni e divisioni, che comunque ci sono. In Duc in altum potrei ogni giorno, e anche più volte al giorno, denunciare orrori liturgici, dottrinali e teologici, così come potrei senza troppo sforzo mettere alla berlina le assurdità di una chiesa che fa di tutto per andare a rimorchio del mondo. Ma ormai è come sparare sulla crocerossa, e la cosa non mi sembra né stimolante intellettualmente né produttiva ai fini della controrivoluzione che ci sta a cuore.
Giorni fa ho ricevuto l’invito a una conferenza e ho visto che uno dei relatori è indicato come “tradizionalista cattolico”. Se succedesse a me, non ne sarei felice. Forse l’unica qualifica azzeccata per il sottoscritto sarebbe “apprendista cattolico”. Con il settarismo non si va da nessuna parte. Quod Deus avertat.
continua
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