Da Berlino al Messico. Così la neo-chiesa si autodistrugge. Ma non da oggi

di Vincenzo Rizza

Caro Aldo Maria,

le dichiarazioni dell’arcivescovo di Berlino, Heiner Koch, sulla ristrutturazione della chiesa di Santa Edvige [qui l’articolo di Duc in altum] sono emblematiche del livello di sincretismo raggiunto dalla neo-chiesa in uscita: “Qui non opera alcun dio oscuro e minaccioso. Qui regna lo spirito di accoglienza. La chiesa sia luogo di apertura per i credenti, anche di altre religioni, così come per i non credenti. E anche per tutti coloro che vogliono semplicemente rilassarsi”, ha detto l’alto prelato.

Che stupido che sono: fino a oggi, evidentemente sbagliando, ho sempre pensato che si andasse in chiesa per pregare e non semplicemente per rilassarsi. E non per pregare una qualsiasi divinità, ma la Santissima Trinità.

Entrando nelle meravigliose chiese che i nostri avi ci hanno lasciato e che non sono state ancora “restaurate” dai guardiani della rivoluzione (su quelle moderne stendiamo un velo pietoso), non mi ero mai accorto, ancora, che vi operasse un “dio oscuro e minaccioso”. Evidentemente sono annoverabile tra gli irrecuperabili indietristi che non hanno capito nulla del Vangelo e della Rivelazione.

Nel frattempo i fedeli della chiesa di Santa Edvige potranno felicemente rilassarsi in una chiesa cattolica che non sembra una chiesa cattolica, davanti a un altare cattolico che non sembra un altare cattolico, insieme a un arcivescovo cattolico che non sembra un arcivescovo cattolico.

Le dichiarazioni di monsignor Koch hanno sollecitato la mia curiosità e sono andato a controllare da chi fosse stato nominato vescovo, supponendo che si trattasse dell’ennesima promozione di un fido seguace di papa Francesco. Invece no: è stato nominato vescovo ausiliare di Colonia il 17 marzo 2006 da Benedetto XVI; nel 2015, poi, Francesco lo ha nominato arcivescovo metropolita di Berlino.

Si tratta della conferma, purtroppo, che il disastro cui oggi assistiamo non nasce con Francesco, che ha solo determinato una tremenda accelerazione di un processo che nasce decenni fa. I pontificati di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI sono riusciti solo a frenare le fazioni più estreme del movimento modernista, che con abilità camaleontica hanno atteso tempi migliori, oggi finalmente arrivati, per appalesarsi in tutto il loro splendore.

Trovo ulteriore conferma di tale processo nella recente approvazione di quello che è stato subito definito il cosiddetto rito maya. Non mi stupisce certo l’approvazione da parte del Dicastero per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, ma il fatto che la proposta sia stata formulata dai vescovi del Messico con il voto favorevole di 103 componenti su 105: solo in due hanno votato contro.

Dubito fortemente che i 103 vescovi fossero tutti di recente nomina dovendo presumere che gran parte di loro siano stati nominati da Benedetto XVI se non da Giovanni Paolo II.

A parziale discolpa dei suddetti vescovi segnalo che il 22 novembre 2024 la Conferenza dei vescovi messicani ha avvertito la necessità di precisare, tra l’altro, che:

  • non si tratterebbe di un nuovo rito ma di meri “adattamenti facoltativi all’ordinario della Messa ordinaria di rito romano” approvati “esclusivamente per le comunità Tseltal, Tsotsil, Chol, Tojolabal e Zoque e non per altre comunità di fedeli non appartenenti a questi popoli indigeni”;
  • non esiste un rito maya o una messa maya;
  • la preghiera dell’assemblea moderata dal Principal (“persona riconosciuta dalla comunità che collabora a specifici momenti di preghiera comunitaria, alla maniera di un commentatore” e che agisce “sempre su invito del sacerdote che presiede la celebrazione”) “si svolge solo in uno dei seguenti tre momenti della messa: 1) all’inizio, dopo il saluto; 2) durante la preghiera dei fedeli; 3) al ringraziamento, dopo la comunione; in questo caso, la preghiera può essere eseguita con movimenti corporei accompagnati da musica appropriata. Non si tratta di una danza rituale, ma di un ondeggiamento ritmico del corpo”;
  • “non è stato approvato nessun rito maya, danze rituali durante la celebrazione, nessun altare maya, preghiere ai punti cardinali, cessione della presidenza liturgica a laici”.

Accontentiamoci delle precisazioni, verosimilmente imposte innanzitutto dal fatto che i primi commentatori avevano sottolineato l’evidente disparità di trattamento tra quello che veniva considerato un nuovo rito e il vetus ordo, ma soprattutto accontentiamoci del fatto che le modifiche non abbiano incluso la sostituzione dell’ostia con i nachos e del vino con la tequila o sacrifici umani in occasione delle messe solenni.

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Nella foto, i nuovi interni della cattedrale di Sant’Edvige a Berlino. Al centro l’altare, una semisfera. Totale la mancanza di immagini sacre.

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