Quell’abisso d’incomprensione tra i “nuovi preti” e i loro vescovi
di don Claude Barthe
Un’opera collettiva molto interessante e significativa – Les sacrements en question. Qui peut les recevoir? Por quel fruits? [I sacramenti in discussione. Chi può riceverli? Quali sono i benefici?], a cura dei sacerdoti Thibaud Guespereau ed Henri Vallançon e del filosofo Thibaud Collin – descrive lo stato di sofferenza dei preti «che vedono come vengono ricevuti i sacramenti da loro amministrati».
Che cosa vedono? Per esempio, che un gran numero di battezzati adulti non ritorna a messa la domenica successiva al loro battesimo e le coppie sposate, da loro preparate al sacramento, spesso si separano l’anno dopo. A ciò si aggiunge il fatto che molti di coloro che partecipano alle messe si comunicano sempre, benché solo un numero esiguo si accosti qualche volta al confessionale.
Di qui l’eterna domanda pastorale, che si pone oggi in modo scottante all’interno di un mondo cattolico malato e dai confini molto porosi nei confronti della società indifferente che lo circonda: «Un pastore deve discernere e respingere i candidati che non hanno fede e/o vivono in modo disordinato? Così facendo, non rischia di creare una Chiesa di puri? E se, al contrario, accetta tutti con eccessiva indulgenza, non rischia di offendere Dio e di recar pregiudizio alla Chiesa e ai richiedenti stessi?».
Nel libro si trovano considerazioni assolutamente opportune sulla crisi della predicazione circa i fini ultimi così come sul deteriorarsi della nozione di peccato mortale nella teologia contemporanea. Viene anche fornito l’esempio di una parrocchia del Sud della Francia in cui sulle richieste dei sacramenti è stato posto in essere un serio discernimento, applicato in particolare alle domande di matrimonio e di battesimo per sé o per un figlio.
Il testo a volte è allusivo, ma bisogna capire che la prudenza è necessaria in un’opera destinata al grande pubblico. Nel mondo cattolico di oggi, il libro rappresenta una specie di bomba, poiché scuote il lasciar fare e il pressapochismo pastorale. Ma lo è soprattutto perché tra gli autori o i prefatori non c’è un vescovo che spieghi in modo chiaro cosa sia lo stato di grazia e il peccato mortale che lo toglie.
Questo è il punto che fa male: tra i vescovi e una buona parte delle giovani generazioni di preti c’è ormai un abisso d’incomprensione. È ben noto come i fedeli, appartenenti a ciò che si è convenuto di chiamare le «forze vive» ancora rimaste, si sentano ormai come pecore senza pastori. Ma bisogna sapere che anche un numero significativo di preti diocesani si trova in una situazione simile. Con profondo malessere di questi chierici, etichettati come «classici» o «nuovi preti» e quindi abbandonati oppure guardati con sospetto dai loro superiori.