Quel filo che lega “Amoris laetitia” e il summit sugli abusi
Se il summit vaticano sugli abusi ha lasciato perplessi per la genericità dei contenuti, la superficialità dell’analisi, la tendenza a fare sociologia anziché guardare ai peccati e per la censura circa la questione dell’omosessualità, ci sono altre voci che, al contrario, esprimono valutazioni molto più puntuali.
Ne vorrei qui proporre due.
Partiamo con un vescovo missionario comboniano: monsignor Juan-José Aguirre Muñoz, spagnolo, vescovo di Bangassou nella Repubblica Centrafricana, secondo il quale, come ha spiegato in un’intervista, la crisi degli abusi ha almeno tre cause precise.
La prima è la tendenza da parte dei seminari, a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, ad accettare candidati omosessuali al sacerdozio. La seconda è l’arrivo di Internet, che ha risvegliato in alcuni sacerdoti gli impulsi più negativi e peccaminosi. La terza è legata al fatto che ci sono sacerdoti i quali non gestiscono bene la loro vita, hanno troppo tempo libero e si lasciano tentare dal diavolo.
“È una situazione terribile e orribile” dice monsignor Aguirre, precisando che il dramma riguarda tutti i continenti.
Nella sua sinteticità, l’analisi di monsignor Aguirre dice di più del fiume di parole scontate uscito dal summit vaticano.
E moltissimo di più dice un’altra voce: quella di Christian Spaemann, specialista in psichiatria e medicina psicoterapeutica, che in un articolo per Lifesitenews ha affrontato apertamente la questione degli abusi affermando che chiunque guardi ai fatti con onestà deve concludere che i casi di pedofilia e pederastia nella Chiesa sono più comuni tra gli omosessuali che tra gli eterosessuali. Con ciò non si vuole gettare il sospetto su tutti i preti omosessuali. Tuttavia, se si vuole davvero combattere il fenomeno degli abusi, occorre guardare in faccia la realtà.
A fronte di studi recenti secondo i quali nel mondo occidentale la percentuale di uomini che si considerano omosessuali si aggira attorno all’1,5%, nella Chiesa gli abusi nascono per l’ottanta per cento dei casi da chierici con tendenze omosessuali. Di fronte a tale sproporzione è possibile far finta di nulla?
Una domanda attorno alla quale si potrebbe sviluppare un utile dibattito è la seguente: qual è il rapporto tra l’attuale situazione e il processo di liberalizzazione dei comportamenti sessuali nella società a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso e nella Chiesa del post-concilio?
Secondo gli insegnamenti della Chiesa, ricorda Spaemann, ci sono solo due forme di comportamento compatibili con i comandamenti di Dio e la dignità della persona umana: da un lato i rapporti sessuali nel contesto del matrimonio tra un uomo e una donna, dall’altro l’astinenza sessuale completa. Non ci sono altre possibilità.
La Chiesa sa bene che poi le persone in realtà si comportano in molti altri modi, ma non per questo ha mai rinunciato a chiamare tutti gli altri modi “peccati” e a indicare la strada per non peccare. In altre parole, la Chiesa non ha mai relativizzato i comandamenti divini.
Poi è arrivata Amoris laetitia e la Chiesa ha incominciato a parlare in modo diverso. Affermando la morale del caso per caso, ha legittimato il relativismo morale.
Notando che Amoris laetitia, a proposito dei divorziati risposati, non mette punti fermi ma, al più, chiede di discernere, Spaemann si chiede: che cosa vieta a questo punto di considerare anche i rapporti omosessuali, e anche quelli tra sacerdoti, come situazioni accettabili a certe condizioni?
Un filo lega Amoris laetitia e il summit sugli abusi. È il filo dell’ideologia che piega anche la legge divina alle proprie esigenze.
Per spiegare gli abusi il papa fa riferimento al clericalismo, ma il vero clericalismo del nostro tempo, dice Spaemann, è l’ostruzionismo rispetto a un dibattito onesto sul tema della sessualità di fronte a Dio, ai suoi comandamenti e alla santità del sacerdozio. “Ed è un clericalismo che, paradossalmente, osa autotutelarsi proprio con le proprie sparate sul clericalismo”.
Come tutte le ideologie, anche il clericalismo ignora la realtà, perché non ne ha bisogno. E al recente summit vaticano lo si è visto molto bene.
Aldo Maria Valli