Per Dio e per il re. Eroi e martiri della Controrivoluzione
di Paolo Gulisano
La storia dell’Europa è dolorosamente percorsa da tante immani tragedie, specie nel secolo scorso, risultato dei diversi totalitarismi ma soprattutto del clima ideologico determinato dai sogni (o sarebbe meglio dire incubi) della ragione, che ha voluto violentare la natura e l’uomo in forza delle pretese dell’utopia e delle sue realizzazioni pratiche. Reiterati tentativi di costruire, oltre che nuove società, “uomini nuovi”.
Questi tentativi hanno tutti lasciato dietro di sé una spaventosa scia di sangue. Processi la cui origine può essere individuata nella Rivoluzione francese come madre di tutte le rivoluzioni.
La Revolutiòn ha sempre goduto di ottima (e immeritata) fama, di vasta pubblicistica, di una stampa favorevole, da est a ovest; presentata come il riscatto degli oppressi contro una società ancora pressoché feudale, come l’avanzare della modernità e del progresso. In realtà rappresentò l’affermarsi di un tentativo oligarchico di conquistare e reggere il potere ai danni degli stessi poveri.
La rivoluzione francese fa parte, a buon diritto, della schiera degli esperimenti palingenetici, già iniziati nel corso dell’Umanesimo e dell’epoca delle Riforme, e analogamente agli altri scatenò la furia rabbiosa della persecuzione contro la religione, contro ciò che costituiva l’anima del popolo, il tessuto connettivo e il fondamento stesso dell’ordine civile e umano.
La storia della Rivoluzione francese è ripercorsa nel volume dello storico Giorgio Enrico Cavallo Per Dio e per il re. Vandea, eroi e martiri della Controrivoluzione, edito da D’Ettoris, casa editrice calabrese da sempre molto attiva nella saggistica controcorrente che cerca di portare alla luce temi, testi e autori che facciano luce su temi importanti della storia.
La Rivoluzione francese è uno di questi. Essa fu il velenoso albero della violenza da cui uscirono i frutti dei totalitarismi del XX secolo.
Una delle principali caratteristiche della Rivoluzione fu l’odio contro la religione. In una rivoluzione, in ogni tentativo di esercizio arbitrario e totalitario del potere, è necessario colpire
anzitutto la libertà religiosa. I cristiani perseguitati dalla Rivoluzione francese si vedevano tolta anche la dignità di nemico, di combattente su un fronte opposto: ai vandeani, ai bretoni, e in seguito a tutte le popolazioni europee invase dai napoleonici, nel tentativo di esportare con la forza la Rivoluzione, toccò l’infamante qualifica di briganti.
Ben lungi dall’essere, come voleva dare a intendere la libellistica giacobina, l’espressione di una contro-rivoluzione borghese, reazionaria e clericale in difesa di privilegi economici e della restaurazione di uno stato feudale, le rivolte popolari che presero il nome di Insorgenze ebbero come protagonisti soprattutto i contadini, che intravedevano in quella ideologia una minaccia terribile per la loro stessa esistenza
Tra gli insorgenti militò inoltre quella classe media, laboriosa e misconosciuta, che sempre costituisce la spina dorsale di una nazione: piccoli commercianti, padri e madri di famiglia, artigiani che, lasciate le case o le botteghe, presero le armi e perché fossero restituite loro le libertà concrete.
L’opposizione alla tirannia rivoluzionaria ebbe i suoi più importanti centri principalmente nelle zone occidentali del paese, in Vandea e poi nel Maine e in Bretagna. Una zona geografica che per quanto riguardava la Bretagna coincideva con una terra rimasta a lungo indipendente da Parigi che ancora rivendicava la propria autonomia e possedeva una propria specificità etnica, dal punto di vista della lingua di origine celtica, degli usi, dei costumi, delle tradizioni. La Rivoluzione, impregnata delle filosofie illuministe del diciottesimo secolo ma anche di antiche suggestioni eretiche come la gnosi, si era proposta di combattere innanzitutto la Chiesa. Si scatenò un movimento di cristianofobia che di fatto, mutatis mutandis perdura ancora oggi.
Uno dei capi della Vandea, Charette, aveva detto un giorno ai suoi uomini: «La nostra patria per noi sono i nostri villaggi, i nostri altari, le nostre tombe, tutto ciò che i nostri padri hanno amato prima di noi. La nostra patria è la nostra fede, la nostra terra, il nostro re… Ma la loro patria cos’è per loro? Voi lo capite?… Loro l’hanno nel cervello, noi la sentiamo sotto i nostri piedi…».
Era lo scontro tra due diverse concezioni del mondo: quella rappresentata da una rivoluzione che voleva imporre con la forza a tutta l’Europa le proprie idee, e quella “prerivoluzionaria” di chi era disposto a combattere e a morire per assicurare ai propri figli il diritto di continuare a vivere secondo le regole che ne derivavano.
La Vandea rimane nella storia come il paradigma dei genocidi, preso a modello da differenti regimi totalitari, e ogni pubblicazione che ne fa memoria, come questo libro del professor Cavallo, è un bene prezioso.
Occorre ricordare – anche in tempi come questi in cui la gerarchia ecclesiastica ha smesso di denunciare il peccato dei fenomeni rivoluzionari, in quanto distruzione dell’ordine naturale – che esiste il diritto e il dovere dei cristiani di evitare che una rivoluzione si ripeta, fermandola sul nascere. Anche là dove la rivoluzione non appare violenta come quella che esplose in Francia, ma si esprime nelle odierne forme di coercizione, di censura e di controllo capillare dell’individuo.