
Io, prete cresciuto nella Chiesa del Concilio, ora dico: i numeri parlano da soli
di don Jorge González Guadalix
Ricordo che quando ero chierichetto (avevo appena sette o otto anni) nella parrocchia del mio paese ero incaricato di guidare il rosario dal pulpito e ogni giorno, dopo averlo terminato, recitavo una preghiera per il concilio, che, come potete immaginare, non sapevo nemmeno cosa fosse. Ma non importava. Tiravo fuori il mio pezzettino di carta e recitavo la preghiera per il concilio.
Mi vengono in mente i cambiamenti liturgici: ogni settimana una sorpresa. E poi i nuovi canti, le piccole cose. Forse imparai davvero di che cosa si trattava quando iniziai gli studi teologici.
L’attesa per il Concilio Vaticano II era grande. Tante speranze. Ma, diciamoci la verità, qualcosa non è andato per il verso giusto. Abbiamo lavorato nella vigna del Signore con tutto l’entusiasmo del mondo, abbiamo attinto alla teologia più fervidamente postconciliare e abbiamo dato tutto per la causa del Vangelo. È mai arrivata la primavera? Non ne sono convinto. Per niente convinto.
Quest’anno ricorreranno sessant’anni dalla chiusura del Vaticano II. E i numeri parlano da soli. La massiccia secolarizzazione delle personalità religiose e dei sacerdoti, soprattutto negli anni Settanta, è spaventosa. Il disastro del calo delle vocazioni per il ministero sacerdotale e la vita religiosa è camuffato dall’aumento dell’età media, che cresce di anno in anno e a un ritmo sempre più sostenuto. Le morti degli ultimi anni ci hanno portato a chiudere i monasteri e a nascondere la mancanza di sacerdoti dividendo il numero delle parrocchie, pressoché uguale, per un numero molto esiguo di preti. Ci sono intere zone della Spagna in cui un sacerdote è parroco responsabile di otto, dieci, venti, trenta parrocchie o più. La vita sacramentale è impossibile; è diventata un surrogato misero nelle mani dei laici che ogni domenica fanno quel che possono con i pochi che restano.
Le scuole cattoliche, dove un tempo la presenza di religiosi e religiose era visibile e costante, sono oggi, in molti casi, solo un’entità nelle mani di una società creata ad hoc e che si presume ne mantenga il carisma, se ancora esiste.
Il livello di formazione dei nostri laici è preoccupante. Tutto si riduce a un blando “dobbiamo condividere” e a una messa trasformata in “una celebrazione molto gioiosa”. Siamo stati sequestrati dal relativismo dottrinale, dal soggettivismo morale e da un cattolicesimo dei minimi. La disciplina non esiste più.
In Spagna oltre il 50% dei giovani si dichiara agnostico o ateo. E molti di loro, tra l’altro, sono o sono stati alunni di scuole religiose, hanno ricevuto il battesimo e hanno fatto la prima comunione. Meno della metà dei bambini nati vengono battezzati e i matrimoni religiosi raggiungono a malapena il 20%. Un altro fatto che si può osservare in quasi tutte le parrocchie è che le confessioni sono praticamente inesistenti.
Mi direte che il numero non conta, che conta la qualità. Beh, il numero ha la sua importanza e nemmeno i più conciliari credono solo nella qualità. Naturalmente siamo felici se la Chiesa è profondamente impegnata nella causa dei poveri. Il problema è che se si tratta solo di fare della solidarietà non ho bisogno della fede o della Chiesa. Né di diventare prete o suora.
Questo il quadro. Ma continuiamo con gli stessi schemi curiali, le stesse idee, una programmazione molto simile.
I documenti conciliari non sono poi così male, a cominciare dalle grandi costituzioni. Direi che sono molto buoni. Forse molti hanno approfittato del Concilio per fare uso di uno spirito conciliare che nessuno è stato minimamente in grado di spiegare. A ciò si è unito un evidente abbandono della disciplina ecclesiastica che ha permesso a tutti, in nome della modernità e delle buone vibrazioni, di dire ciò che vogliono, celebrare come vogliono e vivere secondo la propria personale infallibilità. Il Magistero è infallibile iuxta modum, ma ciò che hanno detto il teologo Tal dei Tali o padre Pinco Pallino è Vangelo ed è indiscutibile.