L’Instrumentum laboris del sinodo amazzonico è eretico e invita all’apostasia. Ecco le prove
Torniamo sull’Instrumentum laboris del prossimo sinodo amazzonico. Lo facciamo con un ampio intervento di José Antonio Ureta, dell’ Istituto Plinio Corrêa de Oliveira, che partendo dalle prese di posizione dei cardinali Müller e Brandmüller riassume e illustra tutti i motivi per cui, nel caso del testo che prepara l’assemblea sinodale, si può dire senza tema di smentita che siamo di fronte a un caso gravissimo di documento sostanzialmente eretico che invita all’apostasia.
A.M.V.
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In un’intervista di ampio respiro concessa al giornalista Edward Pentin, corrispondente a Roma per il National Catholic Register, il cardinale Gerhard Müller ha commentato che nell’Instrumentum laboris del prossimo Sinodo speciale sull’Amazzonia “non tutte le idee concordano con gli elementi di base della teologia cattolica, soprattutto la concezione della religione”.
Nella sua significativa dichiarazione del 27 giugno, pubblicata da kath.net, il cardinale Walter Brandmüller è stato più esplicito accusando l’Instrumentum laboris del Sinodo speciale nientemeno che di eresia e di invitare all’apostasia. Secondo il prelato tedesco, il documento invita i partecipanti sinodali a elevare un inno di adorazione alla natura, cosa che un tempo entusiasmava i giovani nazionalsocialisti, e ad elogiare le religioni feticiste e i rituali di guarigione come modelli di relazione con il cosmo e il divino per terminare con la canonizzazione dell’abolizione del celibato e introdurre l’ordinazione femminile. In breve, per trasformare il Corpo mistico di Cristo in una volgare ONG eco-comunista.
La parte sotto accusa ha accolto questa vigorosa denuncia con un silenzio assordante. Come avrebbe detto Thomas More, Qui tacet consentit, “Chi tace acconsente”.
Il dilemma per chi ha scritto l’Instrumentum laboris sta nel fatto che non può né negare né contestare l’accusa del cardinale Brandmuller. La sinossi che segue lo dimostra.
Una cosmologia panenteista
L’Instrumentum Laboris afferma che la Teologia india e l’Ecoteologia debbano integrare la formazione dei ministri ordinati e essere insegnate in tutte le istituzioni educative (n° 98). La Teologia india desidera incorporare nella Teologia cattolica la teologia panenteista e i miti religiosi degli amerindi. L’Ecoteologia è apertamente panenteista, ritiene cioè che “Dio risiede nel mondo creato da Dio, e tutta la creazione risiede in Dio che l’ha creata poiché nulla può esistere al di fuori di Dio. Perciò, la creazione è riverita come degno dono di un Dio amorevole e generoso” (Suor Sharon Therese Zayac, O.P., Earth Spirituality, pagg. 37-38). Come conseguenza del loro panenteismo (che non è altro che una forma mascherata di panteismo), entrambe le teologie e l’Instrumentum laboris promuovono una re-sacralizzazione della “Madre Terra” (Gaia) e lodano la cosmologia e i miti religiosi indigeni:
la vita e il “buon vivere” sono caratterizzati dalla “intercomunicazione”, “dalla connessione e dall’armonia dei rapporti” “con la natura, con gli esseri umani e con l’essere supremo (con minuscole!)” e “le varie forze spirituali” (sic) (n° 12-13). “Questa cosmovisione è raccolta nel ‘mantra’ di Francesco: ‘tutto è collegato’” (n° 20 e 25) e libera le persone “da una visione frammentata della realtà, incapace di percepire le molteplici connessioni, interrelazioni e interdipendenze” (n° 95);
lo sguardo contemplativo del popolo aborigeno permette loro di scoprire come tutte le parti siano “dimensioni che esistono costitutivamente in relazione, formando un tutto vitale” (n° 21) e quindi li aiuta a camminare verso la “collina santa”, la “terra” senza il male dove “i co-pellegrini” vivono in comunione “con la natura nel suo insieme”(n° 18) e dove “nelle famiglie pulsa l’esperienza cosmica”, insegnando loro come entrare “in dialogo con gli spiriti” (n° 75);
la conoscenza e la saggezza degli “anziani guaritori” (n° 88-89) e le loro credenze e riti riguardanti “l’agire degli spiriti, della divinità – chiamata in tantissimi modi” che opera “con e in relazione alla natura” (n° 25), sono essenziali per la salute integrale, perché “creano armonia ed equilibrio tra gli esseri umani e il cosmo” e “aiutano a curare le malattie” (n° 87);
al contrario, “abusare della natura significa abusare degli antenati, dei fratelli e delle sorelle, della creazione e del Creatore” (n° 26); quindi dobbiamo ascoltare “il grido della ‘Madre Terra’” (n° 146), fermare lo sterminio della “Madre Terra” (n° 17) e rispettare le persone amazzoniche perché vivano in salutare armonia con la “Madre Terra” (n° 84).
I miti pagani indigeni fanno parte della Rivelazione di Dio e sono un percorso alternativo di salvezza
Dalla concezione panenteistica di un Dio intrecciato alla sua stessa creazione e non ad essa trascendente deriva un concetto eterodosso di Rivelazione affine a quello propugnato dal Modernismo e dalla Teologia della liberazione, ovvero che Dio continui ad auto-comunicarsi attraverso la storia nella coscienza dei popoli e in particolare nelle loro lotte terrene. Pertanto la Chiesa deve ascoltare la voce dello Spirito parlando principalmente attraverso i segni dei tempi.
Seguendo i principi della Teologia india, l‘Instrumentum laboris considera i miti pagani delle tribù amazzoniche espressioni della Rivelazione di Dio e chiede un atteggiamento di dialogo e accettazione di queste superstizioni. In accordo con la Eco-teologia, il documento considera la natura come un altro luogo di Rivelazione e incoraggia l’ascolto del “grido della Madre Terra”:
l’Amazzonia è un “luogo epifanico”, cioè “un luogo di significato per la fede o l’esperienza di Dio nella storia”, un luogo teologico in cui la fede è vissuta, e anche una particolare fonte della rivelazione di Dio, un luogo dove “si manifestano ‘le carezze di Dio’ che si incarna nella storia” (n° 19);
il Sinodo dell’Amazzonia “è una grande opportunità per la Chiesa di scoprire la presenza incarnata e attiva di Dio (…) nella spiritualità dei popoli originari” (n° 33), riconoscendo in loro “altre vie che cercano di svelare l’inesauribile mistero di Dio” (n° 39);
in realtà, “lo Spirito creatore che riempie l’universo è lo Spirito che per secoli ha nutrito la spiritualità di questi popoli anche prima dell’annuncio del Vangelo e li spinge ad accettarlo a partire dalle loro culture e tradizioni. Tale annuncio deve tener conto dei ‘semi del Verbo’ presenti in esse” (lo spirito…) che “è già cresciuto e ha dato frutti” (n°120);
pertanto, “è necessario cogliere ciò che lo Spirito del Signore ha insegnato a questi popoli nel corso dei secoli: la fede in Dio Padre-Madre Creatore, il senso di comunione e di armonia con la terra, (…) la “saggezza di civiltà millenarie che gli anziani possiedono e che ha effetti” (…) sul “rapporto vivo con la natura e la ‘Madre Terra’” (…) su “i rapporti con gli antenati” (n° 121);
una sincera “apertura all’altro” (n° 39), fondamento di un vero dialogo, deve quindi evitare di imporre “dottrine pietrificate” (n° 38), cioè “formulazioni di fede espresse da altri riferimenti culturali che non rispondono al loro contesto vitale (aborigeno)” (n° 120), così come “l’atteggiamento corporativo che riserva la salvezza esclusivamente al proprio credo”, riconoscendo che “l’amore vissuto in ogni religione piace a Dio” (n° 39);
per “l’incomprensibilità della realtà e del mistero della presenza di Dio”, così come perché “il dialogo è pentecostale”, è in questo “incontro con l’altro” che la Chiesa sarà in cammino “alla ricerca della sua identità verso l’unità nello Spirito Santo” (n° 40);
dal popolo amazzonico la Chiesa imparerà in particolare “il senso sacro del territorio” (n° 121) e ad ascoltare “il grido della Madre Terra” (n° 146), cioè “il grido di dolore dell’Amazzonia”, che è “un’eco del grido del popolo schiavo in Egitto che Dio non abbandona” (n° 23) giacché “nella voce dei poveri è lo Spirito; per questo la Chiesa deve ascoltarli, sono un luogo teologico” (n° 144).
L’inculturazione e il dialogo interculturale devono sostituire l’evangelizzazione
Poiché le persone aborigene hanno già ricevuto la rivelazione di Dio attraverso la loro saggezza ancestrale e hanno già sperimentano la presenza immanente di Dio nel cosmo, per l’Instrumentum laboris la Chiesa in Amazzonia dovrà subire una “conversione missionaria e pastorale”: invece di “imporre” dall’esterno una “dottrina monolitica” non corrispondente alla cultura tradizionale della gente, la Chiesa dovrà riconoscere il valore delle loro narrazioni, entrare in un dialogo interculturale con loro e adottare un sincretistico “volto amazzonico”, arricchendosi con i loro miti originali, simboli e riti:
la proclamazione di Gesù Cristo “presuppone una Chiesa accogliente e missionaria che si incarna nelle culture” (n°105): “i cristiani di una cultura vanno ad incontrare persone di altre culture (interculturalità)”, “scoprendovi ‘semi del Verbo’” e facendo così emergere “nuovi cammini dello Spirito” (n° 108);
tale “Chiesa ‘in uscita’” “si lascia alle spalle una tradizione coloniale monoculturale, clericale e impositiva” ed evita il “rischio di pronunciare una parola unica [o] proporre una soluzione di valore universale” così come evita “l’applicazione di ‘una dottrina monolitica difesa da tutti senza sfumature’” (n° 110);
“l’inculturazione della fede non è un processo dall’alto verso il basso o un’imposizione esterna, ma un arricchimento reciproco delle culture in dialogo (interculturalità). Il soggetto attivo dell’inculturazione sono gli stessi popoli indigeni” (n° 122);
per raggiungere questo reciproco arricchimento, è opportuno iniziare, non dal Vangelo, ma “dalla spiritualità vissuta dai popoli indigeni a contatto con la natura e dalla loro cultura”, riconoscendo “la spiritualità indigena come fonte di ricchezza per l’esperienza cristiana” e intraprendendo “Una catechesi che assuma il linguaggio e il significato delle narrazioni delle culture indigene e afro-discendenti” (n° 123);
condividendo reciprocamente “la loro vita, le loro lotte, le loro preoccupazioni e le loro esperienze di Dio”, i credenti impegnati nel dialogo interreligioso fanno “delle loro differenze uno stimolo per crescere e per approfondire la propria fede” (n° 136) [Cioè, il neo-missionario dovrebbe approfondire la sua fede cristiana, mentre gli aborigeni approfondiscono il loro paganesimo ancestrale…].
Una “Chiesa dal volto amazzonico” deve riconoscere i ministeri che già esistono nelle comunità indigene e adattare i propri
Una superiora provinciale di religiose, nativa dell’Amazzonia, ha dichiarato: “Quando vado in una comunità indigena che ha uno sciamano, che in modi diversi ha i suoi ministri, mi chiedo che cosa dobbiamo imparare per i ministeri che abbiamo nella Chiesa occidentale”. L‘Instrumentum laboris sostiene questo approccio e intende aprire la porta all’ordinazione dei leader sposati delle comunità come sacerdoti di seconda classe, che avranno lo stesso status di un pastore protestante:
“si aprono nuovi spazi per ricreare ministeri adeguati a questo momento storico” (n° 43). Ciò richiede “proposte ‘coraggiose’” per “approfondire il ‘processo di inculturazione’” (n° 106) superando “la rigidità di una disciplina che esclude e aliena” (n° 126);
poiché “le comunità hanno difficoltà a celebrare frequentemente l’Eucaristia per la mancanza di sacerdoti (…) si richiede che “si cambino i criteri di selezione e preparazione dei ministri autorizzati a celebrarla” (n° 126);
visto che le culture dell’Amazzonia “possiedono un alto senso di comunità, uguaglianza e solidarietà” e “una ricca tradizione di organizzazione sociale dove l’autorità è a rotazione”, sarebbe opportuno “riconsiderare l’idea che l’esercizio della giurisdizione (potere di governo) deve essere collegato in tutti gli ambiti (sacramentale, giudiziario, amministrativo) e in modo permanente al Sacramento dell’Ordine” (n°127);
“si studi la possibilità di ordinazione sacerdotale di anziani, preferibilmente indigeni, rispettati e accettati dalla loro comunità, sebbene possano avere già una famiglia costituita e stabile” (n° 129);
i pastori protestanti locali “ci mostrano un altro modo di essere chiesa dove il popolo si sente protagonista e dove i fedeli possono esprimersi liberamente senza censura, dogmatismo o discipline rituali” perché sono “persone come gli altri, facili da trovare, che vivono gli stessi problemi e diventano più ‘vicini’, e meno ‘diversi’, al resto della comunità” (n° 138). Questo modello di sacerdozio leggero è più adatto poiché “il clericalismo non è accettato nelle sue varie forme” (n° 127);
inoltre, la Chiesa deve “identificare il tipo di ministero ufficiale che può essere conferito alle donne, tenendo conto del ruolo centrale che svolgono oggi nella Chiesa amazzonica” (n° 129);
“la celebrazione della fede deve avvenire con l’inculturazione perché sia espressione della propria esperienza religiosa (…) una cassa di risonanza per le lotte e le aspirazioni delle comunità e un impulso trasformatore verso una ‘terra senza mali’” (n° 125);
“riti, simboli e stili celebrativi delle culture indigene a contatto con la natura” devono essere assunti “nel rituale liturgico e sacramentale” che favorisca la “comunione con la natura e con la comunità” (n° 126); “si propone quindi di valorizzare la medicina tradizionale, la saggezza degli anziani e i rituali indigeni” (n° 89);
perché “gli abitanti dei villaggi amazzonici hanno diritto alla salute e a ‘vivere in salute’ il che presuppone un’armonia «con ciò che la ‘Madre Terra ci offre»” (n° 84), si dovrebbe riconoscere che “i rituali e le cerimonie indigene sono essenziali per la salute integrale perché (…) creano armonia ed equilibrio tra gli esseri umani e il cosmo (e…) aiutano a curare le malattie che danneggiano l’ambiente, la vita umana e altri esseri viventi” (n° 87);
a tal fine, “le popolazioni indigene si affidano a persone che, nel corso della loro vita, si specializzano nell’osservazione della natura, nell’ascolto e nella raccolta di conoscenze dagli anziani, specialmente dalle donne” (n° 88).
Degrado della persona umana in nome di una “ecologia integrale”
Seguendo i canoni dell’Eco-teologia l’Instrumentum laboris respinge l’antropocentrismo cristiano nella creazione e considera la persona umana come un mero anello all’interno della catena ecologica. Esso vede lo sviluppo socioeconomico come un’aggressione alla natura e richiede una conversione ecologica integrale che implichi uno stile di vita pauperista:
“la cultura amazzonica, che integra gli esseri umani alla natura, diventa un punto di riferimento per la costruzione di un nuovo paradigma di ecologia integrale” (n° 56), secondo cui “gli esseri umani fanno parte di ecosistemi (…) per cui la cura di tali ecosistemi è essenziale” (n° 48) e “che presuppone di assumere il limite che è proprio della creaturalità e quindi un atteggiamento di umiltà, dal momento che non siamo padroni assoluti” (n° 55);
“con le parole degli stessi indigeni: “noi indigeni di Guaviare (Colombia) siamo-facciamo parte della natura perché siamo acqua, aria, terra e vita nell’ambiente creato da Dio. Pertanto, chiediamo che cessino i maltrattamenti e lo sterminio della ‘Madre Terra’. La terra possiede sangue e si sta dissanguando, le multinazionali hanno tagliato le vene della nostra ‘Madre Terra’. (…) Vogliamo che il nostro grido indigeno sia ascoltato da tutto il mondo” (n° 17);
“un aspetto fondamentale della radice del peccato dell’essere umano sta nello staccarsi dalla natura e non riconoscerla come parte di sé stessi, sfruttarla senza limiti” (n° 99), mentre la “saggezza dei popoli indigeni” e la “loro vita quotidiana” (…ci insegna) “a riconoscerci come parte del bioma e come corresponsabili della sua cura oggi e nel futuro” (n° 102);
“i popoli amazzonici originari hanno molto da insegnarci. Riconosciamo che per migliaia di anni si sono presi cura della loro terra, dell’acqua e della foresta, e sono riusciti a preservarli fino ad oggi, affinché l’umanità possa beneficiare della gioia dei doni gratuiti della creazione di Dio” (n° 29);
dovremmo “ascoltare il grido della ‘Madre Terra’ attaccata e gravemente ferita dal modello economico di sviluppo predatorio ed ecocida” e “cambiare le nostre abitudini di consumo” (n° 146), assumendo “un ascesi personale e comunitaria che ci permetta di «maturare in una felice sobrietà»” (n° 102).
Il collettivismo delle strutture tribali comunitarie
Il “buon vivere” promosso dall’Instrumentum laboris si riferisce al modello sociale collettivo delle tribù aborigene, dove la personalità individuale e la libertà sono inibite, cosa che si ritiene esprima al meglio sia la loro cosmologia panenteistica che il loro atteggiamento ecologico integrale nei confronti della natura:
“il concetto di sumak kawsay [‘buon vivere’] è stato forgiato dalla sapienza ancestrale dei popoli indigeni e delle nazioni. È una parola più collaudata, più vecchia e più attuale, che propone uno stile di vita comunitario in cui tutti SENTONO, PENSANO E AGISCONO allo stesso modo, come un filo tessuto che sostiene, avvolge e protegge, come un poncho dai diversi colori ” (Appello “The Cry of the Sumak Kawsay in Amazzonia”, nota 5 del n° 12).
“L’Amazzonia è il luogo della proposta del ‘buon vivere’, della promessa e della speranza di nuovi cammini di vita. La vita in Amazzonia è integrata e unita al territorio, non c’è separazione o divisione tra le parti. Questa unità comprende tutta l’esistenza: il lavoro, il riposo, le relazioni umane, i riti e le celebrazioni. Tutto è condiviso, gli spazi privati – tipici della modernità – sono minimi. La vita è un cammino comunitario dove i compiti e le responsabilità sono divisi e condivisi in funzione del bene comune. Non c’è posto per l’idea di un individuo distaccato dalla comunità o dal suo territorio” (IL, n° 24);
la Chiesa deve “rispettare il modello proprio di organizzazione comunitaria” e aiutare i processi che “partano dalla famiglia/clan/comunità per promuovere il bene comune, aiutando a superare le strutture che allontanano” (n° 79).
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In considerazione di tutto quanto precede, non possiamo che fare nostro il paragrafo conclusivo della dichiarazione del cardinale Bandmüller:
“L’Instrumentum laboris per il Sinodo dell’Amazzonia costituisce un attacco alle fondamenta della Fede, e in un modo che finora non è stato ritenuto possibile. Quindi deve essere respinto con ogni risolutezza”.
José Antonio Ureta
Istituto Plinio Corrêa de Oliveira