Io, mamma di don Marco, così scrivo a mio figlio
Cari amici di Duc in altum, il 25 marzo scorso pubblicai una testimonianza sconvolgente. Si tratta della lettera inviatami da don Riccardo Bigoni, parroco in provincia di Bergamo, a proposito di don Marco Ghilardi, curato di Serina, finito in carcere con l’accusa di molestie nei confronti di una minorenne. Secondo don Riccardo la sentenza è ingiusta e ci si è arrivati in un modo che suscita, quanto meno, parecchie perplessità.
Nella lettera don Riccardo esprimeva dolore per la sorte di don Marco e spiegava che la sua intenzione non era quella di sollevare ulteriore clamore, ma di proporre di guardare alla vicenda dal punto di vista di chi, anche sulla base di fatti concreti, si sente accusato ingiustamente.
Già allora precisai che non voglio in alcun modo sostituirmi alla magistratura nel cercare di stabilire quale sia la verità dei fatti. Decisi però di pubblicare il contributo di don Riccardo perché a mio giudizio sollevava un problema reale, ovvero quello della facilità con la quale un sacerdote può essere calunniato e del terreno favorevole che la calunnia può trovare in un momento come l’attuale, nel quale la Chiesa cattolica è nell’occhio del ciclone per la crisi degli abusi.
Chi volesse rileggere la lettera di don Riccardo può farlo qui. Intanto pochi giorni fa ho ricevuto un’altra lettera. Questa volta mi ha scritto la mamma di don Marco. Un messaggio struggente, che ho deciso di proporvi, ancora una volta, non perché pretenda di stabilire come siano andate le cose, ma perché credo che sia utile vedere i fatti da un punto di vista diverso da quello mediatico, al quale siamo abituati in questi casi.
Da parte mia un grazie alla mamma di don Marco.
A.M.V.
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Gentilissimo Aldo Maria, di seguito trova la mia lettera, frutto di continue riflessioni e desiderio di verità. In ogni momento penso a mio figlio. Lui è sempre nelle mie preghiere. Ma prego sempre anche per la giovane che lo ha accusato.
La ringrazio di cuore, un caro saluto.
Paola Brignoli, mamma di don Marco
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Caro figliolo,
penso a quando da piccolo, mentre eri aggrappato al cancello della cappella di famiglia, la nonna ti insegnava a dire le preghierine.
Penso a quando sei entrato in seminario e io, con il dolore del distacco, ti osservavo e mostravo serenità (perché dovevo lasciarti libero di provare).
Penso a quando mi sembrava di perderti perché i tuoi affetti non erano più quelli di sempre.
Penso alle volte, tante, in cui di nascosto leggevo il tuo diario personale, nel quale chiedevi perdono a Gesù per avermi disobbedito.
Penso a quando ho saputo della tremenda accusa e ti ho visto allibito e preoccupato.
Penso alle udienze. A quando riuscivo solo a dirti: ”Coraggio andrà tutto bene” e poi a quando l’incubo si faceva sempre più evidente e tu mi dicevi: ”Mamma, prega. La verità verrà a galla”.
Penso al giorno in cui ti ho chiamato e ti ho detto: ”La nonna sta male, penso che saranno gli ultimi giorni” e tu sei arrivato di corsa e hai dimenticato le tue fatiche e ti sei immerso con me nel dolore sostenendomi e rassicurandomi, ripetendomi: ”Andrà tutto bene”.
Penso a quando hai chiuso gli occhi a mia madre e le hai detto: ”Ora, nonna, sai tutto, da lassù prega per me e aiutami”. La lanterna della tua fede.
Penso a quando, in attesa della sentenza della Cassazione, mi hai detto: ”Sono innocente. Qualunque cosa accada, sappi che sono pronto”.
Penso a quando mi hai detto: ”In attesa della sentenza mi trovo con i miei compagni di Messa”.
Penso a quando mi hai chiamata e mi hai detto con la tua voce tranquilla: “Ecco mamma… non è andata bene… devo entrare in carcere”.
Penso ai miei battiti cardiaci, ai tuoi che sentivo, al tuo dolore, al mio. E mi dicevo: ”Non è vero, è un incubo”.
Penso a quando sei venuto a casa a consolarmi e ti ho rivisto bambino che ridevi come un matto, come quando ti sgridavo, e lì ho sentito gridare il tuo immenso dolore di fronte alla mia impotenza. Avrei voluto stringerti a me, ma ero ammutolita e incapace di darti coraggio.
Penso a quando hai preferito andare via da casa per alleviare il dolore del distacco a me, a tuo padre, alle tue sorelle, ai tuoi cari, prima di entrare in carcere.
Penso a quando, dopo una settimana, sono venuta a trovarti in carcere e ci hai consolato tutti e rassicurato che stavi bene. Ti ho chiesto se mangiavi e se dormivi e mi hai detto che non ti manca nulla.
Penso alle milletrecento firme raccolte a Serina, un paese intero che ha testimoniato con coraggio la stima e l’affetto nei tuoi confronti, sia come uomo sia come sacerdote.
Penso a don Riccardo che con trasparenza è stato capace di raccontare la tua storia e il tuo Calvario, e così abbiamo capito di non essere i soli a credere in te.
Penso alla Chiesa, la tua seconda famiglia, che se un tempo adottava la regola del silenzio per la paura della verità, oggi non è in grado di alzare la testa e far sentire la sua voce nei casi di ingiustizia.
Penso alle trasmissioni televisive a base di gossip, che hanno emesso sentenze senza conoscere i fatti e senza nemmeno volerli conoscere, mentre pregavo Dio che tu non ne venissi a conoscenza.
Penso all’avvocato che ti ha seguito in questi anni e mi ha più volte ripetuto: ”È stata fatta una terribile ingiustizia. Don Marco è innocente e in vita mia non ho mai incontrato una persona che, come lui, entrando in carcere ha dato coraggio a noi tutti”.
Penso a tutte le volte che vengo a trovarti e ogni tanto ti lasci sfuggire: “Qui uno potrebbe anche impazzire”, oppure: ”È proprio assurdo essere in carcere innocente”.
Penso a quando mi ripeti: ”Vedrai che prima o poi le coscienze si faranno sentire, continuiamo a pregare”.
Penso al tuo sorriso rassicurante, figlio mio. Finché Dio mi darà vita continuerò a cercare la verità e sono d’accordo con te su una cosa: la verità verrà alla luce e allora… solo allora la tua mamma avrà raggiunto l’obiettivo: ridarti la vita!
La tua mamma