Benedetto XVI, novello profeta che porta scolpite nel volto le piaghe della Chiesa
Cari amici di Duc in altum, come sapete il papa Benedetto XVI soffre a causa di una dolorosa infezione della pelle del volto. Sui più profondi significati di questa malattia che lo ha colto ricevo e propongo volentieri un contributo di don Marco Begato.
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“L’erisipela (dal greco ερυσίπελας, pelle rossa) è un’infezione acuta della pelle, che coinvolge il derma profondo e in parte l’ipoderma, causata da batteri piogeni; principale responsabile è lo streptococco beta-emolitico di gruppo A, ma talora risulta in causa lo stafilococco aureo o altri germi meno comuni. Un batterio si inserisce nella pelle e la infetta dal profondo. Dapprima nessuno si accorge della sua presenza, ma poi esso si palesa e più e più e diffonde il suo male” (da Wikipedia).
E questo discorso sulle infezioni che dilagano, affare di per sé comune e direi ordinario per la medicina, risveglia altri echi alla mente del fedele. Su tutti, l’eco di san Pio X attorno al Modernismo: “Chiunque in alcun modo sia infetto di modernismo”, dove il binomio eresia-infezione vibra più di una volta nella enciclica Pascendi e nel Magistero autentico della Chiesa. Insegnamenti che hanno per basi le Epistole neotestamentarie, in cui si legge la storia come un dilagare del male verso la fine dei tempi. E infine la parola dello stesso Signore che dell’Escatologia ha fatto la tappa, sia pur penultima ma ineludibile dell’umanità.
E dunque che c’entra il povero Benedetto XVI con tale intreccio di malattie prima fisiche e poi spirituali, lì personali e qui storiche?
C’entra eccome, perché in qualche modo la notizia trapelata, relativa all’erisipela che lo avrebbe colpito in volto, può condurci a vederlo come novello profeta, di quelli tosti, antichi, che portarono scolpito in sé stessi il messaggio destinato all’umanità e che l’umanità non voleva ascoltare.
Come il giogo che Geremia indossò, e che l’avversario Anania cercò di rompere nel tentativo empio di censurare la sventura divina. Geremia volle portare su di sé il giogo da bestia, per rammentare al popolo di Israele il destino di servitù cui l’apostasia li stava conducendo.
“Così mi dice il Signore: Procùrati capestri e un giogo e mettili al collo. Quindi manda un messaggio al re di Edom, di Moab, degli Ammoniti, di Tiro e di Sidone, per mezzo dei loro ambasciatori venuti a Gerusalemme dal re di Giuda, Sedecìa” (Geremia 27,2-3).
Come la vocazione che Osea accettò e lo indusse a sposare una donna infedele, per indicare a tutti il grado dell’amore divino, a noi fedele nonostante i nostri tradimenti espliciti e inverecondi: “Quando il Signore cominciò a parlare a Osea, gli disse: va’, prenditi in moglie una prostituta, genera figli di prostituzione, poiché il paese non fa che prostituirsi allontanandosi dal Signore” (Os 1,2).
Così Benedetto XVI, designato profeta per il suo stesso grado pontificale – chi più del Sommo Sacerdote nominato in terra può vantare di stare al cospetto dell’Altissimo? –, ma profeta doppiamente tale per l’aver realmente assunto il compito di dire la Parola divina al mondo, senza preoccuparsi di carezzare alcun orecchio e risultando così sgradito a tutti. Profeta di conversione, che aveva invitato la Chiesa a trovare una gioia, ma una gioia più sobria, più autenticamente cristiana, umile. Ugualmente lontano dai drammi apocalittici di certo conservatorismo, come dai fasti ingenui e irresponsabili del progressismo ora trionfante: “Anche oggi siamo felici, portiamo gioia nel nostro cuore, ma direi una gioia forse più sobria, una gioia umile”.
Rimasto inascoltato – fa fede il trattamento subito negli ultimi anni e la dimenticanza in cui sono caduti i suoi insegnamenti – Benedetto XVI ha scelto di esprimere con la vita il messaggio più alto. Nella sua rinuncia, nel suo stare al centro del mondo cattolico (in Vaticano) eppur appartato e muto, Benedetto XVI ha incarnato la presenza divina nel nostro tempo. Non un Dio muto, ma un Dio scartato, messo da parte, scomodo, ignorato. Come divinità ci è sicuramente meno scomoda la Pachamama, sembrano effettivamente dire alcuni prelati e parecchi fedeli d’oggidì. Novello Geremia, novello Osea, vero profeta: Benedetto XVI con la sua vita palesa il rapporto tra Dio e il mondo nell’era contemporanea.
E ora l’erisipela. Il volto infiammato. E quante cose significa il volto! Basti tra tutti la riflessione di Levinas, che i offre qualche suggerimento e ci ricorda la grandezza del tema: “L’assoluta nudità del volto, questo volto assolutamente indifeso, senza schermo, senza abito, senza maschera, è tuttavia ciò che si oppone al mio potere su di esso, alla mia violenza, ciò che vi si oppone in modo assoluto, con una opposizione ch’è opposizione in sé. L’essere che si esprime, l’essere che mi è di fronte, mi dice no con la sua espressione. Questo no non è semplicemente formale, ma non è neanche il no di una forza ostile o di una minaccia; è l’impossibilità di uccidere colui che presenta questo volto… Il volto è, per un essere, il fatto di coinvolgerci non all’indicativo ma all’imperativo, e così di essere esterno a ogni categoria” (E. Lévinas – A. Peperzak, Etica come filosofia prima).
Come calza questa intuizione del volto col volto di Benedetto XVI, con la sua missione, con la sua attuale sofferenza! Nudo e indifeso fin dalla sua elezione pontificia, bisognoso di schermirsi dai famelici lupi; e poi spogliato dell’abito e del ruolo, quasi un unicum nella storia del Soglio più alto. E al contempo irremovibile e fastidioso pur nel suo silenzio. Oppositivo senza essere ostile. Duro come è duro riconoscere che la Verità non si può mai davvero mettere alla porta. Urticante come il volto del Salvatore che fu percosso pur non avendo espresso nulla di male (“Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?” Gv 18,23). Questo è stato Benedetto XVI per il mondo contemporaneo e per le falangi di modernismo allignanti e ormai ribollenti nella Catholica.
È un tale testimone che va a sacrificarsi, come estrema simbolica offerta, nel male dell’erisipela. Voglio vedere in esso un’ultima profezia, donata da Cristo stesso. Quasi che il Salvatore ci obbligasse a guardare, nel volto segnato del suo Vicario, il volto della Sposa: ormai deturpata, ammutolita, infangata, violata. E ci chiedesse di prendere consapevolezza dell’ora, del kairos in cui ci troviamo. L’ora dell’oltraggio al volto, dell’infamia, della vergogna. Ma anche l’ora della massima insofferenza verso l’imperativo cristiano testimoniato al mondo dalla stessa vita, sic et simpliciter, dei veri fedeli, sia pur muti e appartati, minoranza.
Come in uno specchio si richiamano il volto del Pastore e il volto della Sposa, e con essi il destino del Messia nella storia. Disprezzati dal mondo, spesso rinnegati e traditi dagli stessi battezzati, sobri e umili sempre. Bellissimi seppur infuocati e soffocati dal male.
Beninteso, quando si va per interpretazioni è possibile affermare tutto e il contrario di tutto. Così è del dolore che colpisce Benedetto XVI. Qui del resto giace il nodo della disfida tra Elia e i profeti di Baal, o tra i già menzionati Geremia e Anania. Né l’uomo di Dio sembra sempre destinato a spuntarla, anzi nella Bibbia gli episodi dal sostrato storico meno accertato sono gli unici in cui i veri profeti trionfano; quanto più ci avviciniamo a eventi storicamente accreditabili, tanto più notiamo la disfatta dei santi. È il caso di Geremia, ma ancor più dell’unico profeta di Dio: Gesù Cristo! E sia, preferisco rischiare e deporre le mie preghiere al cospetto di questa anima vittimale, Benedetto XVI, che ancora è spiritualmente guida e madre per la Chiesa, e che su di sé ne prende le fatiche, le ribellioni, le fughe, il vuoto, il male, la deturpazione, infuocamento e soffocamento, il disgusto e l’abbandono. E se mi sbaglio, sarà stato un dolce errare, ai piedi di un Pontefice che ci ha sempre comunicato, nei fatti più che negli slogan, la mitezza e l’umiltà del Cristo Signore.
Alla sua intercessione ancora mi rimetto. E per lui prego, sapendo che la preghiera rivolta al Santo Padre è preghiera rivolta alla Chiesa tutta. E sapendo che nel Vicario vediamo anticipata la presenza del Signore, non posso che far mie le rime di una piccola grande santa, essa pure missionaria nel nascondimento, con esse rivolgendomi al Salvatore, ma in esse intendendo pregare per la Chiesa tutta, cominciando dai mali che affliggono il suo Sommo Pontefice:
“O Volto Adorabile di Gesù, giacché ti sei degnato di scegliere particolarmente le anime nostre per donarti ad esse, noi veniamo a consacrarle a te!… Ci sembra, o Gesù, di sentirti dire a noi: «Apritemi, sorelle mie, mie spose amate, poiché il mio Volto è coperto di rugiada e i miei capelli delle stille della notte». Le anime nostre comprendono il tuo linguaggio d’amore: noi vogliamo asciugare il tuo dolce Volto e consolarti della dimenticanza dei cattivi: ai loro occhi tu sei ancora come nascosto e ti considero come un oggetto di disprezzo!”
“O Volto più bello dei gigli e delle rose di primavera, tu non sei nascosto agli occhi nostri! Le Lacrime che velano il tuo sguardo divino, ci appaiono come Diamanti preziosi che vogliamo raccogliere per acquistare con il loro valore infinito le anime dei nostri fratelli. Dalla tua Bocca adorata abbiamo inteso il gemito amoroso: comprendendo che la sete che ti consuma è una sete d’Amore, noi vorremmo, per dissetarti, possedere un Amore infinito! Amato e diletto Sposo delle anime nostre, se avessimo l’amore di tutti i cuori, tutto questo amore sarebbe tuo!… Ebbene, dacci questo amore e vieni a dissetarti nelle tue piccole spose!”
“Anime, Signore, abbiamo bisogno di anime!… Specialmente di anime di apostoli e di martiri affinché per loro mezzo infiammiamo del tuo Amore la moltitudine dei poveri peccatori. O Volto Adorabile, noi sapremo ottenere da te questa grazia! Dimenticando il nostro esilio sulle sponde dei fiumi di Babilonia, canteremo ai tuoi Orecchi le più dolci melodie. Poiché tu sei la vera Gloria infinita, l’unico nostro desiderio è d’incantare i tuoi Occhi Divini nascondendo anche il nostro volto, affinché quaggiù nessuno possa riconoscerci… Il tuo Sguardo Velato, ecco il nostro Cielo, o Gesù!” (Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo).
Marco Begato
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