Tre anni dopo
Non sembra, ma sono già passati tre anni. Francesco apparve alla loggia centrale della basilica di San Pietro, disse “buonasera”, pregò in silenzio e la Chiesa voltò pagina.
Ne parliamo con l’arcivescovo Angelo Becciu, sostituto per gli Affari generali della Segreteria di Stato della Santa Sede.
Qual è l’emozione più forte che ha provato in questi tre anni?
Sono tante, ma forse quella più forte l’ho provata nel viaggio di Francesco nella Repubblica Centrafricana. Ci sono ritornato dopo trent’anni (fu la mia prima missione come nunzio) e ritornarci con papa Francesco è stato straordinario. Sono rimasto colpito da ciò che ha combinato Francesco: ha creato la pace! Mi giungono notizie che da quel giorno, da quando ha aperto la porta santa della cattedrale di Bangui, non ci sono state più lotte fratricide. Questo è bellissimo!
Quale la parola di Francesco che, secondo lei, ha segnato questi tre anni?
Anche in questo caso ce ne sarebbero tante, ma mi viene alla mente più di tutte quella che ha ripetuto nell’ultimo giorno degli esercizi spirituali ad Ariccia: sognare. Ognuno di noi deve avere un sogno, e se penso a quelli di Francesco ritengo di poterne indicare due: un mondo più giusto, un mondo senza sfruttati e sfruttatori, e una Chiesa senza macchie e senza rughe, una Chiesa fatta di comunità di credenti che manifestano la loro fede nell’amore, comunità che possono essere un messaggio vivo per il mondo intero.
E invece qual è il gesto di Francesco che l’ha colpita di più?
Quello che più mi ha colpito e che conservo nel cuore è l’abbraccio agli ammalati, ma soprattutto a un ammalato – eravamo proprio all’inizio del pontificato – che era totalmente sfigurato in faccia, e il papa lo abbracciò e lo baciò. Resto sempre colpito da questo suo atteggiamento perché per Francesco non è una posa, lui non recita: ci crede davvero e ama davvero le persone sfigurate nel corpo e nell’anima, le persone che soffrono.