I «selvaggi» del Wheaton College. E la follia del politicamente corretto
di Marco Respinti
Il Wheaton College è una scuola libera e confessionale, quaranta chilometri circa a ovest di Chicago, nell’Illinois delle piatte praterie di tallgrass, l’“erba alta”. Il Wheaton College è una scuola cristiana evangelicale con un motto che vale lo scudo di san Giorgio contro il drago: «For Christ & His Kingdom». Lì gli studi sono incentrati sulle artes liberales. Ci sono diversi istituti così, negli Stati Uniti d’America, tant’è che «liberal arts college» è un brand. Quanto a esse, le artes liberales costituiscono gran parte delle materie d’insegnamento del curriculum studiorum di secondo grado del Medioevo e si chiamano così in quanto discipline coltivate da persone libere: quelle del trivium, ovvero grammatica, retorica e dialettica, e quelle del quadrivium, aritmetica, geometria, astronomia e musica, e oggi i «liberal arts college» ne insegnano un adattamento. Negli Stati Uniti resiste, insomma, un pezzo di Medioevo e in Illinois resiste un pezzo di questo pezzo.
Il Wheaton College è stato fondato nel 1860 da cristiani evangelicali abolizionisti e fra i propri ex allievi annovera anche Bill Graham (1918-2018), il famoso predicatore battista del Sud, che poi ha passato lo scettro della predicazione al figlio, Franklin Graham, difeso da “IFamNews” quando gli ideologi hanno cercato di censurarlo. Il suo campus è bellissimo e fra le bellezze architettoniche ne possiede una culturalmente solluccherosa: il Marion E. Wade Center, ossia una miniera d’oro di «risorse che non si trovano altrove nel mondo» atte a «fornire una peculiare commistione fra intelletto, immaginazione e fede» incentrata su sette autori cristiani: C.S. Lewis (1898-1963), J.R.R. Tolkien (1892-1974), Dorothy L. Sayers (1893-1957), George MacDonald (1824-1905), G.K. Chesterton (1874-1936), Owen Barfield (1898-1997), e Charles Williams, (1886-1945) vale a dire gli Inklings, i loro “antenati” e i loro maestri. Lì è tra l’altro conservato lo scrittoio a cui Tolkien scrisse Lo Hobbit (1937) e lì c’è il vero armadio-guardaroba che a Lewis suggerì il passaggio per Narnia. Chi scrive ci si è fatto fotografare il giorno che ci è arrivato a bordo di un Volkswagen Westfalia bianco guidato dall’editore di “iFamNews”, Brian C. Brown, a metà anni 1990, dopo essere fuggiti da un tornado e sfuggiti a un incidente sulla strada per Rockford, sede dell’International Organization for the Family.
Questa bella fiaba vera sì è però incrinata quanto il rettore, Philip Ryken, di questo pezzetto bizzarro e bello di medioevo americano ha deciso, con una email del 17 marzo, di staccare e buttare nel pattume una placca commemorativa del sacrificio di due missionari cristiani evangelicali come il Wheaton College, James Elliot (1927-1956) ed Ed McCully (1927-1956), che faceva bella mostra di sé nella Edman Chapel del campus. Quei due martiri caddero mentre evangelizzavano i nativi Waorani delle foreste pluviali dell’Ecuador, allora conosciuti come Auca, assieme ad altri tre missionari cristiani evangelicali come il Wheaton College: Nate Saint (1923-1956), Peter Fleming (1928-1956) e Roger Youderian (1924-1956). Questo drappello fu il primo contatto occidentale con quella popolazione. Il loro viaggio venne studiato e architettato con il nome di «Operazione Auca» e la vicenda dei cinque martiri è arrivata pure al cinema con La punta della lancia (End of the Spear), diretto da Peter R. de Vries nel 2005.
Dopo qualche scambio pacifico, l’8 gennaio 1956 gli indios passarono a fil di picca i cinque missionari, gettandone poi i cadaveri in un corso d’acqua lì vicino. La placca ora rimossa fu donata al college nel 1957, l’anno dopo il martirio dei cinque, dalla classe 1949 del Wheaton. Martiri: martiri per ogni cristiano, non solo per i protestanti, giacché l’ecumenismo del sangue è una realtà concreta.
La damnatio memoriae si è avventata sui due uomini esemplari ricordati nella chiesetta del college perché sulla placca, fra l’altro, si dice: «Per generazioni tutti gli stranieri sono stati uccisi da questi indiani selvaggi». Per i disattenti, è la parola «selvaggi» che ha scandalizzato il rettore Ryken. Scrive il rettore Ryken che «[…] la parola “selvaggio” è considerata peggiorativa e storicamente è stata adoperata per deumanizzare e maltrattare le popolazioni indigene del mondo intero».
Davvero curioso. Davvero curioso che il rettore Ryken non trovi «selvaggio» il modo con cui gli Auca hanno massacrato quei missionari, i quali invece non hanno mai massacrato alcun Auca.
Davvero curioso che il rettore Ryken di un college cristiano elimini il ricordo di martiri cristiani per non offenderne gli assassini.
Davvero curioso che il rettore Ryken non sappia che «selvaggio» deriva da «selva» come «selvatico» a indicare l’uomo che vive nelle selve, come gli Auca delle foreste pluviali ecuadoregne. Del resto il folclore alpino conosce l’«homo salvadego», una creatura guardiana e protettrice. Ispirandosi a questa leggenda (= “cose da leggersi”, perifrastica passiva con valore di esortazione, non balla) gli scrittori italiani Giovanni Papini (1881-1956) e Domenico Giuliotti (1877-1956) ci hanno persino costruito l’intrigante Dizionario dell’omo salvatico (1923), emblema di una contro-cultura, rispetto a quella atea e materialista e liberal dominante, dove l’uomo selvatico è il cristiano reazionario che si ritira o che è sopravvissuto nei boschi alla rivoluzione e, oramai minoranza, conserva e custodisce per tornare un giorno e ricostruire.
Vergognarsi della propria fede e della propria identità è cosa pessima, essere ignoranti e montare in cattedra è peggio.
Fonte: ifamnews.com
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